Papa Francesco lo aveva visitato nel Giovedì Santo del 2016, in quanto esempio virtuoso di accoglienza e integrazione. Eppure per il Cara di Castelnuovo di Port, il secondo centro per rifugiati più grande d’Italia, il Viminale ha deciso la chiusura. Il risultato: 305 dei 535 ospiti – tra bambini, donne e uomini – saranno trasferiti in altre regioni d’Italia. «Dopo tanti anni d’impegno della comunità locale mi pare assurdo interrompere progetti di integrazione ben avviati,  con la partecipazione di tanti cittadini e volontari della diocesi», commenta all’Agenzia Sir il vescovo di Porto-Santa Rufina Gino Reali, nella cui diocesi ricade la struttura.

Una voce, quella del presule, che si alza a nome di tanti. Gli stessi che questo pomeriggio, 22 gennaio, hanno deciso di scendere in strada, in una marcia silenziosa dalla parrocchia di Santa Lucia in Pontestorto – a pochi passi dalla scuola elementare dove studiavano alcuni bambini del Cara, «strappati all’improvviso dal percorso che avevano iniziato», commenta il parroco padre José Manuel Torres, messicano – fino al centro per rifugiati. Parroci, gruppi parrocchiali, ragazzi delle scuole dove studiavano i bambini del Cara, volontari, associazioni del territorio, sindacalisti. Tutti insieme, anche per testimoniare vicinanza agli oltre cento lavoratori italiani (medici, psicologi, mediatori culturali e insegnanti) del Cara, gestito dalla cooperativa Auxilium, a rischio licenziamento.

Il vescovo contesta «il metodo di trasferimento» dei migranti, «che non mi pare dignitoso per donne, uomini e bambini che hanno alle spalle storie drammatiche. Quale futuro offriamo a queste persone? Quale immagine di civiltà stiamo dando?», si domanda. La conclusione non può che essere una preghiera, «perché questa gente non perda la speranza e trovi la giusta accoglienza». Al momento, si sa che i titolari di protezione internazionale del Cara saranno trasferiti in altre strutture ma non si sa in quali città, solo le regioni: Toscana, Umbria e Lombardia. Molti quelli che rischiano di finire in strada perché hanno i permessi scaduti e non potranno accedere alla seconda accoglienza.

«Con la marcia pacifica vogliamo esprimere solidarietà a questi poveri ragazzi. Non sappiamo dove andranno a finire almeno 200 persone – dichiara padre Torres -. Hanno voluto sgomberare il centro velocemente in modo un po’ misterioso: basti pensare che l’autista del pullman nemmeno sapeva dove doveva andare, forse in Basilicata», racconta. Il religioso riferisce dell’impegno del Comune, che «stava dando un segnale forte di accoglienza e integrazione che contrasta con l’idea generale di cacciare i migranti». Ora, prosegue, «ci preoccupano molto gli effetti del decreto sicurezza su coloro che non hanno ottenuto lo status di rifugiati e hanno i permessi umanitari in scadenza. Dove andranno?».

Una preoccupazione, quella del parroco, che ha nomi e volti. Anthony, nigeriano, faceva il sagrestano in parrocchia: «Era bravissimo. È un dono che ci è stato tolto». Le due donne che la parrocchia seguiva, una del Kenya e l’altra nigeriana, che si stavano preparando al battesimo: «Ora dovranno andare via». E ancora, i tanti bambini del Cara coinvolti nei centri estivi all’oratorio di san Gabriele, «anche musulmani. Per noi – ricorda – è stata una grande occasione di scambio tra culture ma c’è anche gente un po’ chiusa che non vedeva di buon occhio questa situazione». Intanto alcuni parroci si interrogano su cosa fare: «Almeno due si dicono disponibili ad accoglierli se c’è bisogno».

22 gennaio 2019