Siria, l’appello dei cooperanti: «Una zona umanitaria sicura per i profughi»

La proposta di pace avanzata da Operazione Colomba, il corpo nonviolento di pace della Comunità Papa Giovanni XXIII: : «Una zona umanitaria disarmata, sotto protezione internazionale, riservata esclusivamente ai civili»

«Proponiamo una zona umanitaria disarmata, sotto protezione internazionale, senza presenza di gruppi armati e nessun ministero del regime siriano di Damasco. È una zona esclusivamente per civili che sono stati sfollati dal regime dal territorio siriano». È la proposta di pace per i profughi siriani, avanzata dai cooperanti dell’Operazione Colomba, il corpo nonviolento della Comunità Papa Giovanni XXIII, che da settembre 2013 è presente in Libano, nel campo profughi del villaggio di Tel Abbas, Akkar, nel nord del paese, a 5 chilometri dalla Siria. Mentre il mondo guarda con il fiato sospeso quanto sta accadendo nella zona di Ghouta orientale, dove attacchi e bombardamenti si sono intensificati, provocando centinaia di feriti e morti solo nell’ultimo mese, gli operatori hanno deciso di lanciare un appello alla comunità internazionale.

Il numero dei profughi registrati da Unhcr supera il milione. «All’inizio della rivoluzione siriana nel 2011, il numero di rifugiati in Libano non ha superato il numero di poche migliaia di persone. Il numero si è mantenuto tale fino a marzo 2013, quando le forze governative siriane, insieme a quelle alleate di Hezbollah non sono intervenute in Siria, nella città di Qusayr; l’operazione militare non solo ha distrutto gran parte della città: ha causato la fuga forzata dei siriani che ci vivevano – non solo i suoi abitanti, ma anche i cittadini provenienti dalla provincia di Homs, a loro volta fuggiti dalla persecuzione del Regime – scrivono i cooperanti -. Queste operazioni militari sono continuate lungo il confine orientale del Libano, dove le persone sono state cacciate dalle proprie e case e terre, confiscate loro. In pochi giorni la crisi dei rifugiati siriani ha avuto inizio in Libano. Il numero di profughi siriani registrati da Unhcr è cresciuto di un milione, e ha continuato ad alzarsi con ogni operazione militare condotta dalle forze del regime e dagli alleati di Hezbollah in aree dove le proteste dei Siriani avevano domandato per libertà e diritti. Fino ad oggi, queste aree sono sotto il controllo del regime e di Hezbollah, per lo più svuotate della loro popolazione: i proprietari di queste terre sono costretti a vivere a pochi kilometri di distanza, all’interno dei confini libanesi, causando  una crisi di sovrappopolazione per il governo e il popolo libanese».

Alla base della proposta c’è la creazione di una zona umanitaria disarmata, da creare nella fascia di terra che va a nord da Qusayr a Yabroud, a Sud dal confine Libanese , a Ovest dal confine che precede le autostrade di Damasco e da Homs a Est. Questo perché tra il 60 e il 70 per cento dei rifugiati siriani in Libano proviene proprio da quest’ area e le loro terre sono ora in disabitate. Non possono tornare nelle loro terre che sono sotto l’autorità del regime di Damasco perché verrebbero di nuovo incarcerati o costretti a combattere. Questo ritorno è l’ultima soluzione possibile perché possano ricrearsi una vita accettabile e crescere i propri figli in un posto sicuro. «La creazione di una zona sicura abitata da civili, in questa area particolare, porterebbe al ristabilimento di relazioni sociali, commerciali e umanitarie tra i residenti di tale area e la popolazione libanese abitante sul confine – si legge ancora nella proposta -. Permetterebbe di restituire la fiducia e l’integrazione sociale che intercorrevano tra le due popolazioni prima della rivoluzione siriana, risolvendo le ostilità nate dopo le operazioni militari. Inoltre, la creazione di quest’area limiterebbe sensibilmente la migrazione dei siriani in Europa e la loro fuga dalla Siria».

In termini di sicurezza, spiegano ancora gli operatori
della comunità Papa Giovanni XXIII le forze armate libanesi hanno sconfitto ogni presenza di organizzazioni terroristiche attraverso operazioni militari nella valle della Bekka e nella città di Arsal. In questo modo, è stato messo in sicurezza e liberato l’area tra il confine siriano e libanese. «Questo confine costituirebbe il limite occidentale della zona di sicurezza, ora libera dal terrorismo e protetta su questo versante dall’armata libanese». Tra gli scopi della proposta c’è il ritorno di un largo numero di rifugiati siriani alla loro terra dal Libano e da altri paesi, grazie alle misure di sicurezza garantite al suo interno. Non solo, ma si vuole anche riunire le famiglie divise e aiutarle a ritornare ad una vita normale; porre fine all’abbandono scolastico, al lavoro minorile e allo sfruttamento, e lavorare per il recupero delle ultime generazioni  dei bambini siriani sia sul  piano morale che sociale, lontano dalla quotidianità della guerra, dell’astio e degli estremismi religiosi. Porre fine alle problematiche riguardanti i diritti civili per i siriani profughi causate dal mancato riconoscimento dello status di rifugiato in Libano.

Lavorare concretamente sui problemi di salute fisica e psicologica all’interno della comunità di rifugiati perché possano guarire e ritornare ad una vita normale. Lavorare per il ritorno dei rifugiati dai paesi di asilo vicini e lontani. Alcuni vivono ora in Europa a cause delle condizioni di povertà affrontate in Libano e per la mancanza di speranze di un ritorno alla loro terra in condizioni di sicurezza. Coinvolgere i giovani su educazione e sensibilizzazione in modo da sradicare le idee di estremismo, fanatismo e terrorismo, che l’Isis, e altri gruppi estremisti promuovono tra le giovani generazioni. Infine, riguardo l’aspetto economico: investire le energie e le risorse finanziarie sui giovani, assicurando progetti di investimento, contribuendo a costruire un futuro sicuro e impedendo il lavoro illegale per guadagnarsi da vivere.

«Questa proposta nasce dal desiderio di evitare nuove crisi umanitarie e intende proporre una soluzione al rischio molto concreto di nuovi conflitti armati e, allo stesso tempo, ricostruire la fiducia tra popolazioni e tornare ad una vita normale – scrivono i cooperanti -. Questa zona umanitaria, che sarà e dovrà essere libera da ogni presenza militare, dovrà garantire le cure sanitarie primarie, così come la scuola e l’educazione per crescere una nuova generazione che creda nella pace». La proposta di una zona umanitaria di pace necessita del sostegno internazionale, spiegano i cooperanti, che si appellano alla IV Convenzione di Ginevra per la Protezione delle Persone Civili in Tempo di Guerra: gli articoli 14 e 15 rispettivamente dichiarano il diritto di stabilire “Zone di sicurezza” e “Zone Neutralizzate”.

La proposta è stata inizialmente ispirata da esempi popolari, primo tra tutti la Comunità di Pace di San José de Apartadó, in Colombia che Operazione Colomba sostiene direttamente con una presenza costante di volontari. Questa Comunità, nata nel 1997, ha resistito ad anni di conflitto, resistendo in modo nonviolento a continue aggressioni, diventando un punto di riferimento per gli abitanti delle zone ad essa circostanti, un esempio di umanità e dignità in un contesto di feroce violenza e sfruttamento. «Questa proposta è da vedere come altamente rilevante dall’Unione Europea e dalla Comunità Internazionale, dal momento che arriva direttamente dai civili che sono stati sfollati e sprovvisti di ogni diritto civile e umano – conclude l’appello – . Contribuisce a dare stabilità all’interno del Medio Oriente, nonostante prevedibile opposizione da parte del governo siriano. Di fatto, è impossibile immaginare la stabilità di un Paese senza considerare il destino di milioni di suoi abitanti.Una zona neutrale è il più grande interesse per la comunità internazionale, non solo dei civili siriani non allineati al regime. Permetterebbe di ridurre radicalmente la pressione sui confini Europei e può divenire un modello e un banco di prova per ripetere operazioni simili in contesti differenti».

 

23 febbraio 2018