Sinodo Amazzonia, presentata la bozza di documento finale

Ruffini (Comunicazione): «Il processo di ascolto non è ancora terminato». Il tema del diaconato permanente e la “sfida” dello sviluppo sostenibile

Presentato ai giornalisti, nel briefing che ha inaugurato l’ultima settimana del Sinodo per l’Amazzonia, lunedì 21 ottobre, il progetto del documento finale, di cui è iniziata l’elaborazione. «Il processo di ascolto però non è terminato», ha precisato il prefetto del dicastero per la Comunicazione della Santa Sede Paolo Ruffini. A illustrare la bozza, il cardinale Claudio Hummes, presidente Repam (Rete ecclesiale panamazzonica): nel documento, i frutti degli interventi presentati durante i lavori. Ora la palla passa ai circoli minori, per l’elaborazione dei “modi collettivi” che, nelle giornate di mercoledì e giovedì, verranno inseriti nel documento finale dal relatore generale e dai segretari speciali, con l’aiuto degli esperti. Il testo verrà quindi rivisto dalla Commissione per la redazione per poi essere letto in aula venerdì pomeriggio, 25 ottobre, nel corso della 15ª Congregazione generale. Sabato pomeriggio, infine, la 16ª Congregazione generale vedrà la votazione del documento finale.

In Sala stampa vaticana è intervenuto anche il cardinale  Christoph Schonborn, arcivescovo di Vienna e presidente della Conferenza episcopale austriaca, tornando sul tema del diaconato permanente, «molto importante e significativo per la vita della Chiesa». Il porporato ha citato il caso della sua arcidiocesi, con «180 diaconi permanenti, che hanno una vita personale, professionale e familiare e prestano il loro servizio in parrocchia, nelle varie comunità e nell’ambiente sociale: nelle Caritas, negli ospedali, con i giovani. La maggior parte di loro sono sposati». Nelle parole del cardinale, «il diaconato permanente è una delle possibilità che il Vaticano II ha aperto, ma da sempre era già nella vita della Chiesa. È una delle proposte per questa zona del mondo, per aiutare la pastorale in questo immenso territorio». Ancora: «Non abbiamo da ammaestrare l’Amazzonia, ma dobbiamo dare il nostro contributo per dare voce ai popoli che sono minacciati, come ci esorta a fare Papa Francesco, quando raccomanda l’attenzione ai più poveri e dimenticati dalla politica del mondo».

Per Schonborn il tema ministeriale «è importante per questo Sinodo, fa parte dei nuovi cammini per la Chiesa in Amazzonia. Il ruolo delle donne nelle nostre comunità, insieme a quello dei ministri istituiti e dei ministri ordinati, è certamente un tema di cui si discute al Sinodo: vediamo quali saranno alla fine le proposte che verranno sottoposte al Santo Padre». Innegabile, nella riflessione dell’arcivescovo di Vienna, un problema di «distribuzione del clero» e di «solidarietà vocazionale». L’Europa, ha spiegato, «ha certamente una sovrabbondanza di preti: siamo grati all’aiuto dei presbiteri di altri Paesi, ma nello stesso tempo si pone una questione di giustizia» verso altre zone del mondo. Di qui la necessità di «un’autocritica da parte della Chiesa universale, nei confronti di quelle regioni che, come l’Amazzonia, si trovano a fronteggiare delle difficoltà pastorali».

Rispondendo alle domande dei giornalisti relative alla figura del Papa, il cardinale Schonborn ha asserito che «essere Papa significa essere criticato e amato da tantissime persone in tutto il mondo: ammirato e oggetto di gratitudine. Un miliardo e 200mila cattolici in tutto il mondo pregano per il Santo Padre e continueranno a farlo». Interpellato in merito a una presunta particolare virulenza delle critiche a Papa Francesco rispetto ai suoi predecessori, ha risposto che «Paolo VI era accusato di impedire il progresso ma era il Papa. Ho avuto rapporti stretti con Giovanni Paolo II e sono stato studente di Benedetto XVI, ho collaborato con lui per la stesura del Catechismo della Chiesa Cattolica – ha proseguito -. Non ho mai visto la minima opposizione. Ci sono differenze, perché ogni Papa ha la sua storia e il suo carattere. Ma è sempre il Papa. È molto chiaro, per me, il fatto di essere fedele al Papa».

Sull’Amazzonia come «donna violata di cui occorre raccogliere il grido» si è soffermato invece il vescovo di Rieti Domenico Pompili, uno dei membri del Sinodo scelti personalmente da Francesco, anche lui in Sala stampa con i giornalisti. L’Amazzonia, ha detto, «è una metafora della terra, soggetta a vari tipi di violenza». Ricordando il terremoto che nell’agosto del 2016 ha colpito il Centro Italia, provocando quasi 250 vittime e dimostrando come «il problema del rapporto tra l’uomo e l’ambiente è ancora irrisolto», il presule ha evidenziato l’esigenza, «in una terra “ballerina” come la nostra, non solo iniziare la ricostruzione, che 38 mesi dopo è ancora di là da venire, ma di una “rigenerazione” fatta su rigorosi criteri ecosostenibili. Se il terremoto del Centro Italia fosse avvenuto in Giappone – ha proseguito -, sarebbe stato soltanto una pagina di cronaca e non il dramma che hanno vissuto quattro regioni, 174 comuni, decine di migliaia di sfollati». Per Pompili, si tratta di questioni che «chiamano in causa tutti: sono una questione irrisolta all’interno di una questione più grande che anche in Italia, come già accade in America Latina, comincia a imporsi in quello che una volta veniva definito il Paese dei cento campanili. E tutto questo, per una sorta di esasperata laboriosità economica che tende a privilegiare i grandi centri rispetto alle aree interne. Lo sviluppo – ha rilevato – non è un processo rettilineo che va dal negativo al positivo. Dopo la crisi del 2008, ci siamo accorti una volta di più che conosce momenti di default». Di qui la necessità di chiedersi «come renderlo compatibile con il rispetto degli standard di sostenibilità».

22 ottobre 2019