Sindrome di Down, un “decalogo” per fare chiarezza

Nel libro di Anna Contardi (Aipd), un contributo nella lotta a pregiudizi e stereotipi. «Il linguaggio determina il modo di stare in relazione con le persone»

Nel 1979 l’aspettativa di vita di un bambino con sindrome di Down, in Italia, era di 33 anni, oggi è di 62. E sempre oggi il 60% delle persone con questa sindrome sono adulti. Un Paese, il nostro, con la percentuale di persone con sindrome di Down che lavorano nel libero mercato più alta in Europa, dato sicuramente favorito dai quarant’anni di inclusione all’interno della scuola. Ma restano pregiudizi e stereotipi, anche nel campo della comunicazione.

Per questo Anna Contardi, coordinatrice nazionale dell’Associazione Italiana Persone Down (Aipd), ha scritto un libro, presentato venerdì 11 ottobre alla Libreria Erickson di Roma, alla vigilia dalla Giornata nazionale delle persone con sindrome di Down e in occasione del quarantesimo anniversario dell’Aipd, festeggiato domenica con la conclusione del DownTour al Pincio e questa mattina, 14 ottobre, con l’accoglienza di una delegazione dell’associazione al Quirinale. Una sorta di decalogo, dal titolo “10 cose che ogni persona con sindrome di Down vorrebbe che tu sapessi”, che, spiega Contardi, «nasce dall’idea di fare chiarezza rispetto a ciò che si conosce o meno sulle persone con sindrome di Down, ma anche per aiutarci a capire ciò che è cambiato in questi anni. Dobbiamo sentirci tutti coinvolti, infatti mi piacerebbe che questo libro venisse letto soprattutto da coloro che non sono direttamente in relazione con una persona con sindrome di Down».

Le “10 cose” sono descritte, anche con testimonianze dirette, in altrettanti capitoli che formano il libro. A partire dall’importanza di saper utilizzare un linguaggio corretto: «Che Down non voglia dire “giù” l’ho sottolineato perché spesso gli errori di termine portano con sé anche delle percezioni sbagliate». Da molti anni, a livello internazionale, si insiste nel parlare di “persone con sindrome di Down” (prende il nome dal medico britannico con questo cognome) e non di “persone Down”. «Questa non è una sofisticheria – ha affermato Contardi -, porta con sé tanto contenuto, perché se dico “persone down”, in qualche modo identifico la persona con la condizione della sindrome, quando in realtà è la persona che deve essere messa al centro».

Un’altra questione legata al linguaggio – e qui la critica è andata al mondo della comunicazione – è non considerare la sindrome come una malattia ma come condizione genetica. «Spesso – ha raccontato l’autrice – trovo scritto “persone affette da sindrome di Down”, e questa espressione porta con sé l’immagine della malattia, quando non è così. Quindi fare chiarezza sui termini non è una questione linguistica, ma determina il modo di stare in relazione con le persone».

Alla presentazione erano presenti Martina Fuga e Gabriele Di Bello. La prima è mamma di una bambina con sindrome di Down e autrice dei libri “Lo zaino di Emma” (Mondadori) e “Giù per la salita” (Erickson). Il secondo è un giovane socio dell’Aipd, lavora in un fast food a Guidonia e dal 21 novembre debutterà come protagonista su Rai 1 nella serie tv di sei puntate “Ognuno è perfetto”. Da Martina Fuga una valutazione sull’inclusione di sua figlia nella scuola. «Avendo vissuto anche all’estero, Emma ha avuto l’occasione di sperimentare diversi sistemi scolastici e in Italia andare a scuola con altri permette ai compagni di abituarsi, di prendere confidenza, fino a farla diventare una situazione normale. L’impatto culturale quindi è determinante nella possibilità di avere un’inclusione anche nella vita sociale». Secondo Contardi, autonomia e autostima sono collegate: la prima aiuta la persona a costruire la propria identità, ed è proprio l’esperienza di Gabriele Di Bello, che dopo alcuni passaggi in televisione sta coltivando il suo sogno di aprire in futuro un proprio ristorante.

14 ottobre 2019