Simone Miccinilli, dall’esperienza del terremoto alla scelta di “celebrare la vita”

Il giovane, premiato al concorso “Cantate inni con arte”, sopravvissuto al sisma di Amatrice, racconta la sua scelta della musica

Il giovane, della parrocchia di San Gabriele, sopravvissuto al sisma di Amatrice, racconta la sua scelta della musica, fino alla vittoria al concorso “Cantate inni con arte”

«Siamo abituati a vivere ma nessuno ci insegna come si sopravvive». Simone Miccinilli, 27 anni, è un fiume in piena quando racconta come da una notte, quella del 24 agosto scorso, la notte del terremoto di Amatrice, la sua vita non sia stata più la stessa. Le parole si rincorrono, ruzzolando giù una dopo l’altra come i sassi tenuti insieme dal calcestruzzo nella parete della sua casa di Tino, frazione di Accumoli. Quella casetta in montagna apparteneva alla bisnonna e ogni estate era palcoscenico della memoria, tra famiglia e amici, «l’edicolante e il ristoratore che avevano un volto e un nome, non solo un esercizio commerciale a connotarli». Poche strade, un centinaio di abitanti: «Un’oasi di relax dallo stress romano, ma quella notte lì c’era l’apocalisse. Quando senti tremare tutto pensi solo a salvarti. Mi sono rifugiato sotto al letto ma c’erano già detriti e terriccio, polmoni e narici bruciavano per le polveri: la mia stanza, la nostra casa si sgretolava. Dormivamo nella parte di casa che è rimasta in piedi, ma ho visto sul divano in soggiorno dove avevo riposato la sera prima il frigo precipitato dal piano superiore dove il pavimento aveva ceduto, e non lo dimenticherò mai». In casa c’erano anche la madre, il padre, il nonno di Simone e un amico di famiglia, «per fortuna mancava mio fratello, questo trauma se l’è evitato», perché dopo quella notte «di fuga, scalzi e in pigiama, da un paesino che semplicemente non è più», tutto è cambiato.

«Ho iniziato a pensare che devo fare qualcosa che mi piace perché se domattina me ne vado da questo mondo devo essere stato felice». L’università, gli studi in ingegneria, gli incastri degli appelli, l’ultimo esame prima della tesi, sembravano preoccupazioni inutili, scolorite: «Non importava più di laurearmi nei tempi, di iniziare a lavorare e versare contributi che prima inizi e meglio è, e quel ruolo di ingegnere che mi avrebbe qualificato nella vita sarebbe stato solo un ruolo, tanto nessun voto avrebbe mai saputo dire chi sono davvero». Per un mese e mezzo Simone non ha pensato a niente, dedicandosi alle sue passioni: i cortometraggi horror e la musica. «Era diventata un’esigenza, e ho iniziato a incidere brani. Sono un autodidatta, le mie mani sul pianoforte erano solo uno strumento, le note venivano fuori da sole. Sullo spartito, insieme alla melodia, ricostruivo i pezzi della mia infanzia crollata a Tino. Alla fine sono spuntati 12 brani, che ho subito presentato al coro che dirigo da tre anni nella mia parrocchia, San Gabriele dell’Addolorata». Uno di quei brani, “Entri il re della gloria”, è stato premiato tra gli inediti del concorso “Cantate inni con arte” e potrebbe entrare nel repertorio nazionale. L’album, intitolato “Celebrate la vita”, viene abbinato a eventi di raccolta fondi per ricostruire Tino: «Questi brani non parlano della paura ma della vita che ci è rimasta».

Da sopravvissuto, le cose materiali sono solo cose: «Le ammaccature degli oggetti non mi interessano più. Non mi basta di essermi salvato, il tempo è prezioso, e so che certe cose chi è sempre stato al bar a parlare della Roma non potrà mai capirle. Tutto deve passare dall’accettazione, per potere andare avanti. La vita non è quantità ma qualità, e se non hai niente da rimpiangere avrai vissuto sempre abbastanza». Simone è tornato nel «rullo compressore delle scadenze, anche se affrontato in modo diverso» e a luglio sarà ingegnere. Ma non perde di vista il senso della sua sopravvivenza: «Apro gli occhi al mattino e ringrazio che si siano svegliati anche mia madre, mio padre e mio fratello, così posso passare un’altra giornata insieme a loro».

31 maggio 2017