Shahbaz Bhatti, «portatore del Vangelo della pace e della riconciliazione»

A 10 anni dall'uccisione del ministro pakistano per le minoranze, la preghiera promossa dalla Comunità di Sant'Egidio, presieduta dal vescovo Ambrogio Spreafico

Un uomo mite, determinato e di profonda fede. Shahbaz Bhatti, ministro pakistano per le minoranze, aveva 42 anni quando, la mattina del 2 marzo 2011, fu assassinato a Islamabad in un attentato terroristico mentre si recava a lavoro. A costargli la vita, il suo impegno nella difesa della libertà religiosa e l’avvio di una convinta battaglia per la riforma della legge sulla blasfemia. Ieri sera, 2 marzo, a 10 anni dalla sua uccisione, la Comunità di Sant’Egidio, legata a Shahbaz da un profondo rapporto di amicizia, ha scelto di farne ricordo nella preghiera presieduta dal vescovo Ambrogio Spreafico, presidente della Commissione Cei per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso, nella basilica di Santa Maria in Trastevere.

«Disarmato e inerme, ha donato la vita per adempiere la sua missione: lavorare senza sosta per la pacifica convivenza tra le varie comunità di un Paese bello e complesso, dove i cristiani sono una minoranza, cominciando ad aiutare i poveri – le prime parole del presule -. Aveva capito che la fede, nutrita dalla Parola di Dio, può cambiare la storia». Portavoce sin da giovane dei diritti degli emarginati, Shahbaz fu autentico promotore del dialogo interreligioso, della convivenza civile e di una legislazione che proibiva i discorsi di incitamento all’odio. «Il suo impegno entra nelle difficili pieghe della società e della politica, mai contro qualcuno ma sempre in difesa della possibilità per tutti di vivere insieme in pace. I suoi legami con leader musulmani ne sono un esempio – ha proseguito Spreafico -. Shahbaz viveva profondamente la sua identità cristiana, cercando ogni volta di incontrare l’altro e di aprire porte al dialogo. Scelse di donare la sua vita per questo», nonostante le minacce e il senso di precarietà che attraversava le sue giornate. «Sapeva che avrebbero potuto contrastare il suo sogno fino ad ucciderlo, eppure non si tirò indietro – ha concluso il presule commentando il brano del Vangelo di Luca in cui Gesù chiama altri 72 discepoli per mandarli nelle città ad annunciare che il regno di Dio è vicino -. Era consapevole di essere portatore del Vangelo della pace e della riconciliazione».

Sulla scia di questo impegno, Shahbaz non solo ha cercato di allargare la rete dei suoi rapporti oltre i confini del Pakistan ma ha anche stretto un’amicizia importante con la Comunità di Sant’Egidio, presente dal 2000 in diverse città del Paese. «Era un giovane pieno di speranza che ha vissuto la sua carica da ministro con grande semplicità – ha raccontato a Roma Sette un’amica dell’ex ministro, Valeria Martano, responsabile per la Comunità del dialogo interreligioso in Asia -. La sua testimonianza più preziosa è la fiducia nella possibilità di ricomporre conflitti con la forza della parola». Grazie alle sue numerose conquiste civili e politiche a favore delle minoranze religiose, in Pakistan «c’è oggi una maggiore sensibilità verso le iniziative di dialogo, anche se il Paese continua a presentare profondi problemi culturali e sociali che riguardano soprattutto i cristiani, ancora relegati ai margini».

Criticità che Sant’Egidio, da sempre impegnata a promuovere una fratellanza fra i popoli secondo lo “spirito di Assisi”, ha scelto di contrastare sin dal 2014, offrendo un sostegno a quegli studenti che hanno un buon successo scolastico ma, poiché provengono da famiglie molto povere, non possono accedere ai livelli superiori di istruzione. «Si tratta di un programma di borse di studio, quest’anno sostenuto anche dalla Cei, che permette ai giovani cristiani di accedere in futuro a posti di lavoro qualificati – ha concluso Martano -. Un passo importante per combattere la discriminazione».

3 marzo 2021