Sgombero Camping River, Lojudice: «Inutile atto di forza»

Per il vescovo ausiliare del settore Sud «l’amministrazione è in difficoltà rispetto ad un governo che si presenta in maniera dura. Un gesto per mostrare i muscoli ma lascia il tempo che trova»

«Lo sgombero è la dimostrazione di un atto di forza da parte di una amministrazione in difficoltà rispetto ad un governo che si presenta in maniera dura, forte. È un gesto per mostrare i muscoli ma che lascia il tempo che trova». Monsignor Paolo Lojudice, vescovo ausiliare per il settore Sud, ha commentato con queste parole la notizia dello sgombero del Camping River, in cui vivono decine di famiglie rom. «Spero che non sia successo nulla di violento – ha detto il presule al Sir – ma me lo aspettavo. Certo è paradossale che si cominci dal Camping River, che per certi versi era uno dei migliori a Roma perché era una gestione privata, mentre nella Capitale ci sono situazioni ben peggiori».

Il vescovo ammette che «la Corte
europea per i diritti dell’uomo, spostando l’ultimatum di 24 ore non avrebbe cambiato molto la situazione. Se avesse spostato di sei mesi già sarebbe stato diverso». In ogni caso, prosegue, «nemmeno i sei mesi basterebbero se nel frattempo non si mette in atto uno spiegamento di forze ingente con un progetto serio, anziché dire ai rom di andarsi a cercare un appartamento in affitto che nessuno darà. E poi non è il taglio di abitazione adatto a quel tipo di famiglia e attività lavorativa».

Monsignor Lojudice suggerisce
«concessioni edilizie su piccoli terreni, autocostruzione» per distribuire le famiglie e «risolvere il problema in maniera seria nell’arco di alcuni anni». Il Comune di Roma, a suo avviso, «dovrebbe essere anche un po’ onesto e dire quali sono le possibilità alternative di alloggio che hanno offerto. Lo stanzone del centro di accoglienza? L’ostello che separa le famiglie?». A questo proposito lancia una richiesta ufficiale al Comune: «Dateci gli indirizzi precisi degli alloggi alternativi e il vado trovare. Poi ne parliamo».

Altrimenti, precisa, «dietro la giustificazione che l’alloggio c’è, l’opinione pubblica ha motivo di dire che sono i rom a non volere andare in appartamento». Invece, ogni famiglia, «andrebbe consegnata al territorio, per essere aiutata da un insieme di forze (pro loco, dai volontari, Caritas parrocchiale) ad inserirsi in un contesto diverso da quello di un campo, dove le regole e le leggi sono un po’ così. Spero di non sentire ora la cantilena che oramai il problema del Camping River è risolto – sottolinea – perché è stata solo messa una toppa».

27 luglio 2018