Il punto di partenza: i volti. Il punto di arrivo: il dopo-Cagliari. Il motore: avviare percorsi concreti di lavoro degno, cioè pienamente umano. Nelle parole di monsignor Filippo Santoro, arcivescovo di Taranto e presidente del Comitato scientifico e organizzatore, il percorso di avvicinamento alla Settimana sociale di Cagliari (26-29 ottobre) si può sintetizzare così. La Chiesa italiana, spiega nella giornata di apertura dell’appuntamento, che raduna nel capoluogo sardo un migliaio di partecipanti in rappresentanza delle 225 diocesi italiane, vuole fare la propria parte per prima, per «rispondere a un bisogno fondamentale delle persone e a un problema reale del Paese». Il sogno è «un cantiere aperto sul lavoro», che parta dall’ascolto delle sofferenze dei giovani e delle famiglie. Nessuna sostituzione allo Stato o alle forze politiche ma un forte appello a rilanciare la presenza dei cattolici nella società: non per un nostalgico ritorno al passato ma per scrivere pagine nuove partendo dalla passione per il bene comune. Quattro le proposte della Chiesa italiana al Paese – non preconfezionate, ma arricchite e nel caso riformulate dopo il dibattito in assemblea – che verranno consegnate il 28 ottobre al presidente del Consiglio Paolo Gentiloni.

Monsignor Santoro, quali le attese, e le novità, della Settimana di Cagliari?
Il clima è molto positivo, grazie al lavoro svolto dal Comitato: una sinfonia tra esperti di economia, scienze sociali, statistica, amministrazione d’impresa e pastori, per rispondere a un problema reale della gente e iniziare percorsi, come ci chiede Papa Francesco. Il punto di partenza sono le facce delle persone, i volti che tutti noi quotidianamente incrociamo. L’orizzonte è quello unitario dell’Italia, del Mediterraneo e dell’Europa. Nella processione che si forma tutte le mattine in episcopio, mi chiedono due cose: la cura dell’ambiente – molti hanno parenti malati o morti per danni ambientali – e il lavoro, una richiesta pressante per loro, per i loro figli e nipoti. Per questo è importante, come faremo a Cagliari, interrogarsi sul senso del lavoro e su cosa significhi “lavoro degno”. Nel terzo incontro mondiale del Papa con i movimenti popolari, c’erano i cartoneros, i senza terra del Brasile, i portatori di risciò del Bangladesh. Un sindacalista spagnolo ha chiesto come tessere rapporti tra la loro “economia informale” e la nostra. La risposta dei cartoneros è stata: «La nostra non è economia informale, è economia popolare». In quell’occasione ho incontrato un portatore di risciò del Bangladesh, che mi ha chiesto: «Se guadagno 10 euro a settimana e ne devo dare 6 al governo, come faccio a vivere?». Il lavoro è degno perché la persona è degna, gli ho risposto: «Tu sei degno non solo perché con il tuo lavoro nutri la tua famiglia, sei degno perché sei creato a immagine e somiglianza di Dio, perché collabori all’opera della creazione».

La Chiesa italiana denuncia da tempo l’urgenza della questione lavoro, che crea sofferenza nelle famiglie e mette in crisi il futuro dei giovani. Quali sono i fronti più urgenti da affrontare?
La disoccupazione giovanile è certamente l’aspetto più preoccupante. È un punto nevralgico, in particolare al Sud, dove tocca punte del 50% nella fascia di età tra i 15 e i 19 anni. È un problema che ci ferisce: in ogni incontro trovo famiglie lacerate da questo problema. C’è una forte domanda di lavoro da parte delle famiglie: se un giovane non studia, non lavora e non cerca lavoro non ha modo di esprimere se stesso, non si realizza. Un aspetto importante è raccordare meglio le istituzioni formative con le imprese e con il mondo del lavoro: in Germania, dove questo accade, la disoccupazione giovanile è scesa al 5%. Occorre inoltre perfezionare e migliorare l’alternanza scuola/lavoro: è un’istanza giusta, ma va aiutata con più investimenti e con più assistenza da parte dello Stato.

Durante la Settimana sociale si parlerà di lavoro anche in positivo, mettendo in evidenza le “buone pratiche” in atto sul territorio. È da lì che si può ripartire?
Nelle nostre diocesi c’è molta gente “compromessa”, in senso positivo, con il lavoro: delle 402 buone pratiche che presenteremo, molte sono portate avanti dai giovani. Il loro entusiasmo, negli incontri che come Comitato abbiamo organizzato nelle varie regioni e diocesi, ha contagiato i nostri esperti. Nella composizione delle delegazioni diocesane, inoltre, il Comitato ha dato disposizione che venissero formate a livello locale non con persone “di rappresentanza”, ma con chi ha “le mani in pasta” sul lavoro, raccomandando che almeno uno dei componenti della delegazione venisse scelto tra i giovani.

Alla Settimana Sociale, oltre al presidente del Parlamento europeo, partecipano anche esponenti del governo – il premier e tre ministri – e le parti sociali. Lancerete un appello alle forze politiche?
Certamente. Il Papa, incontrando l’Azione Cattolica, ha chiesto ai giovani di entrare in politica, e poi ha ripetuto lo stesso invito a Cesena. Il cardinale Bassetti lo continua a ripetere. La prospettiva, anche a Cagliari, è quella di una ripresa del tema della presenza dei cattolici in politica, ma in una direzione singolare, originale: di unità nel rispetto dei bisogni concreti della gente, su temi come il lavoro, la famiglia, la vita, i giovani, la scuola, i migranti. La questione del lavoro, in altre parole, rilancia a 360 gradi la prospettiva dell’incidenza dei cattolici nella società italiana: non tornando al passato ma rispondendo alle sfide che il presente ci offre attraverso una presenza profetica, che non si schiera di qua o di là ma che contesta e propone. (M. Michela Nicolais)

26 ottobre 2017