Serie Tv, “The Crown” e il conflitto tra dovere e libertà

Dal 17 novembre su Netflix la terza stagione: un “period drama” che fonde mirabilmente le vite e le relazioni dei protagonisti con la grande storia

«La corona non è solo un ornamento da indossare – spiega il precettore a una giovanissima Elisabetta – ma è un privilegio e un fardello». Lo chiarisce in un flashback della terza stagione di The Crown: la serie che cavalca (finora) un trentennio di secondo dopoguerra inglese attraverso le vicende della famiglia reale britannica. Nel salto indietro nel tempo di questa sequenza, Elisabetta è solo un’adolescente ma un giorno – sa bene l’uomo che le parla – diventerà la regina d’Inghilterra e tale destino, conclude il precettore, «comporta straordinarie aspettative e responsabilità». In questa manciata di parole risiede il cuore di una serie tra le più eleganti, intense, dettagliate e visivamente appaganti degli ultimi anni: il conflitto tra dovere e libertà, con desideri trattenuti e personalità costrette all’implosione, almeno parziale, e al faticoso razionamento dei sentimenti per fare spazio al ruolo, al compito, alla tradizione.

E lei, Elisabetta II, interpretata nelle prime due stagioni da una bravissima Claire Foy e nella terza dal premio Oscar Olivia Colman, porta in sé questo carico di tensione, simboleggiato da una corona attorno alla quale orbitano obbligatoriamente anche gli altri personaggi della serie: suo marito il principe Filippo di Edimburgo, sua sorella Margaret, i primi ministri che incontra, da Winston Churcill nella prima stagione al laburista Harold Wilson nella terza. E infine il giovane figlio Carlo, tormentato protagonista di una puntata della terza stagione, dal 17 novembre scorso interamente disponibile su Netflix.

Ha un viso spesso increspato, la regina di The Crown, solo a tratti aperto e luminoso come i raggi del sole che tagliano i saloni maestosi, ma ombreggiati, di Buckingham Palace: sottolineatura, probabilmente, dei chiaroscuri interiori della protagonista, baricentro di un affresco corale finemente lavorato nella forma, dal montaggio alla fotografia e alla recitazione, ma mai trascurato nella sostanza grazie a dialoghi vivaci, densi, a volte eccellenti. Che scolpiscono personaggi stratificati attraverso puntate – specialmente in questa terza stagione – somiglianti ai rami di un albero: tutte attaccate allo stesso tronco, ma ognuna con una sua direzione e autonomia, con un personaggio centrale capace di raccontare il mondo complesso sotto la sua pelle, per forza di cose legato a quella corona che non si lascia opacizzare da emozioni o relazioni umane.

«Se sei te stessa – spiegava Elisabetta II alla sorella Margaret nella prima stagione – l’incantesimo si spezza», e qualcuno, vedi Edoardo VIII nelle prime puntate di The Crown, si ribellava fuggendo da tanta pressione. «Non mostri mai che portare la corona spesso è un peso», consigliava Churcill alla giovane sovrana in uno degli incontri dai quali la donna imparava l’arte della politica ma anche come gestire il suo essere sovrana, madre e moglie. Trovava un delicato equilibrio riempiendo la missione di onestà e dedizione, Elisabetta II, raccontata in The Crown da quel 1947 in cui sposò il principe Filippo, fino al 1977, che chiude la terza stagione, con il viso pensieroso della sovrana nel giorno dei venticinque anni dalla sua ascesa al trono.

Trenta episodi, per ora, di un “period drama” che fonde mirabilmente le vite e le relazioni dei protagonisti con la grande storia, grazie a quel Peter Morgan (già sceneggiatore di The Queen di Stephen Frears, del 2006) che descrive i cambiamenti nella società inglese e le crisi internazionali come quella di Suez nella seconda stagione; e poi la guerra fredda, la paura del comunismo e i rapporti con l’America, ma anche la tragedia che colpì i minatori gallesi di Aberfan nel 1966, al cui dolore è dedicato un intero episodio della terza stagione. E ancora, l’avanzare della televisione e di un tempo nuovo, complesso, che mina le certezze dei reali. E infine lo sbarco dell’uomo sulla luna, 20 luglio 1969, esemplarmente legato a un momento di crisi esistenziale del principe Filippo, il quale, vedendo alla tv le imprese di Armstrong, Aldrin e Collins, si convince di poter sconfiggere il vuoto interiore che lo opprime attraverso grandi sfide fisiche ed eroiche. Perciò considera le parole spirituali del Decano Woods come vuote e addirittura irritanti. In seguito, però, dopo aver incontrato gli astronauti dell’Apollo 11 e aver capito che non sono dei giganti ma uomini semplici rispettosi delle regole nel loro lavoro, Filippo trova la forza di guardarsi dentro e ammette l’importanza della fede come strumento per uscire dal buio, dalla solitudine e dalla delusione. La sua vita riparte e The Crown continuerà a raccontarla con i grandi eventi storici, visto che si prevedono sei stagioni in tutto e non siamo che al giro di boa, con personaggi come Margaret Thatcher e la principessa Diana pronti a entrare in scena.

27 novembre 2019