Sea Watch, la storia di Doro, torturato e venduto in Libia

Ad affidarla a Facebook è Brendan, uno dei soccorritori a bordo della nave della ong, bloccata nel porto di Siracusa. L’uomo parla 7 lingue e vuole raccontare, «perché altri non soffrano come lui»

«Gigante gentile». I membri dell’equipaggio della Sea Watch lo chiamano così: Doro, cicatrici ovunque, sul volto e sul corpo; torturato e picchiato ripetutamente in Libia. Per tre volte ha tentato di fuggire via mare; per due volte è stato riportato indietro dalla Guardia costiera libica. E reso schiavo. «Oggi è bloccato come se fosse un ostaggio sulla Sea-Watch 3 – scrive su Facebook Brendan, uno dei soccorritori della Sea Watch 3 -. La sua storia ci fa rabbrividire. Doro ha sofferto per rincorrere i suoi sogni ed è difficile raccontare chi è a parole. La sua storia non è inusuale ma è una testimonianza vera e viva del perché nessun essere umano dovrebbe essere riportato in Libia».

Doro, racconta l’operatore, parla 7 lingue tra cui inglese, francese e arabo. «È un uomo gentile ed empatico e, con umiltà, partecipa alla vita di bordo dando una mano in cucina. Quando la gente ci dice che dovremmo “riportarli indietro”, penso a persone come Doro – aggiunge -. E lo sento che mi dice “Non prendertela con loro. Non hanno mai sofferto quello che abbiamo sofferto noi. Non sanno cosa dicono”». Lui, invece, della sofferenza, del dolore ingiusto e della sopraffazione è stato reso esperto dalla vita e ora «ha chiesto che la sua storia venga diffusa in modo che altri non soffrano come ha sofferto lui», spiega Brendan.

In Libia, Doro è stato torturato senza pietà. «Innumerevoli volte». Gli hanno spaccato la faccia colpendolo con un kalashnikov, procurandogli la perdita della vista da un occhio. È stato pugnalato allo stomaco e picchiato ancora e ancora. «Le sue cicatrici sono lì a testimoniarlo». All’inizio, ha raccontato, era forte e in grado di resistere al dolore; «allora hanno aumentato la loro cattiveria e lo hanno picchiato senza pietà. Gli hanno fatto patire la fame, gli hanno preso tutti i suoi soldi, hanno estorto denaro ai suoi genitori che sono stati costretti a vendere la loro casa per permettergli di sopravvivere. Poi lo hanno venduto. Lo hanno usato come schiavo. Lo hanno venduto più e più volte eppure brilla ancora. È un faro».

Nelle carceri libiche l’uomo ha visto morire il suo miglior amico. Lui è riuscito a scappare. Diversi tentativi, prima di quello definitivo: era convinto di avercela quasi fatta quando ha sentito un’imbarcazione avvicinarsi velocemente. Credendo che fosse di nuovo la Guardia costiera libica, era pronto a gettarsi in mare. «Poi ha sentito una voce: “Ora siete al sicuro”. A quel punto ha capito che non erano i libici». Adesso è a bordo della Sea-Watch 3, insieme ad altre 46 persone, «tenuto ostaggio in mare dalle autorità italiane che si rifiutano di autorizzare la nave ad attraccare – prosegue il racconto del soccorritore -. È assurdo pensare che nessuno voglia aiutare quest’anima gentile. Speravo che l’Europa fosse meglio di così».

La storia di Doro, la sua lotta per sopravvivere, «sfortunatamente non sono uniche – osserva Brendan -. Ciò che è unico è la sua impazienza nel voler condividere tutto quello che gli è successo. Vorrebbe che altri non vivessero quello che ha vissuto lui. Lui desidererebbe non avere dovuto provarci. Doro, amico mio – conclude -, spero che l’Europa ti accolga. Spero che la gentilezza si faccia strada tra le persone e ti raggiunga su questa nave. E poi, quando sarai a terra, spero ti lascino vivere e amare come meriti».

30 gennaio 2019