Scuola: si riparte, “Alla ricerca del tempo perduto”

Alla vigilia della prima campanella, il rapporto di Save the Children punta l’obiettivo sui percorsi formativi a rischio nell’Italia delle disuguaglianze. Abbandono scolastico al 12,7%. Significativa anche la «dispersione implicita», con 1 diplomato su 10 che rimane carente

«La campanella per la ripresa dell’anno scolastico in Italia non suona solo per studentesse e studenti, chiamati al ritorno in classe, ma riserva il suo tono più acuto e allarmante agli adulti e alla politica, per le debolezze di un sistema scolastico che, di fronte alle enormi sfide della crisi in atto, non è in condizioni adeguate per contribuire efficacemente ad invertire il ciclo negativo di povertà materiale ed educativa». Nel nuovo rapporto “Alla ricerca del tempo perduto. Un’analisi delle disuguaglianze nell’offerta di tempi e spazi educativi nella scuola italiana“, diffuso oggi, 7 settembre, Save the Children fa il punto sullo stato di salute del sistema scolastico, in termini di spazi, servizi e tempi educativi come mensa, tempo pieno e palestre. A cominciare dalla relazione effettiva tra disuguaglianze di offerta sui territori ed esiti scolastici, a cui si affianca quella tra la qualità dell’offerta, dove c’è, e la resilienza nell’apprendimento dei minori in svantaggio socioeconomico.

Allo stesso tempo, alla vigilia delle ormai imminenti elezioni che porteranno alla formazione di un nuovo governo, il rapporto offre uno spunto concreto per l’orientamento degli investimenti sul rilancio della scuola, che «non può non esser posta al centro dell’attenzione e condurre a scelte coraggiose». Non manca nemmeno il riferimento alla necessità di garantire l’accesso e la qualità dell’educazione a ogni bambino e bambina nel mondo, dove al momento si contano 222 milioni di minori in contesti di crisi, che necessitano di supporto per l’istruzione. Fra questi, 78,2 milioni non frequentano più la scuola. Fondamentale, per Save the Children, «progredire verso un accesso universale a sistemi educativi resilienti, anche assicurando il completo finanziamento di fondi multilaterali».

Per quanto riguarda l’Italia, le disuguaglianze territoriali, osservano dall’organizzazione, si configurano come un filo rosso che attraversa le diverse dimensioni della povertà educativa. Guardando in dettaglio i dati sulla dispersione “implicita” al termine del ciclo scolastico della scuola superiore, che a livello nazionale si attesta al 9,7%, emerge infatti una forte disparità geografica, con percentuali di “dispersi”, alla fine del percorso di istruzione, più elevate rispetto alla media nazionale. La punta in Campania, con il 19,8%. Nel caso della dispersione esplicita, poi, «l’abbandono scolastico nella maggior parte delle regioni del sud va ben oltre la media nazionale (12,7%), con le punte di Sicilia (21,1%) e Puglia (17,6%), e valori decisamente più alti rispetto a Centro e Nord anche in Campania (16,4%) e Calabria (14%)». Riguardo invece alla percentuale dei Neet, vale a dire i giovani con non studiano e non lavorano, che in Italia è al 23,1%, «in regioni come Sicilia, Campania, Calabria e Puglia i 15-29enni nel limbo hanno addirittura superato i coetanei che lavorano: 3 giovani Neet ogni 2 giovani occupati».

Entrando nella dimensione territoriale della scuola, il rapporto di Save the Children prende quindi in considerazione alcuni indicatori “strutturali” su tempi, spazi e servizi educativi, come la presenza di mensa scolastica e del tempo pieno, palestra e certificato di agibilità, mettendo in luce la correlazione positiva tra la qualità dell’offerta in termini di strutture e tempo scuola e il livello di apprendimento conseguito da studentesse e studenti. L’analisi evidenzia, dati alla mano, quanto un’offerta adeguata di spazi e di tempi educativi possa contribuire efficacemente a ridurre le disuguaglianze educative territoriali. «È un vero paradosso – si legge – che, pur ribadendo l’importanza della “qualità dell’offerta educativa”, i territori dove la povertà minorile è più forte siano in Italia quelli dove la scuola è più povera, privata di tempo pieno, mense e palestre. Proprio dove i bambini, le bambine e gli adolescenti affrontano, con le loro famiglie, le maggiori difficoltà economiche c’è al contrario maggior bisogno di un’offerta educativa più ricca. Il rapporto mette in evidenza, del resto, che quando questa offerta scolastica è potenziata, questa è in grado di fare la differenza, anche nelle province con maggior numero di minori in difficoltà socioeconomica».

Di qui la richiesta al governo che si formerà, di cui si fa portavoce Raffaela Milano, direttrice dei Programmi Italia-Europa dell’organizzazione: un investimento «straordinario» che parta «dall’attivazione di “aree ad alta densità educativa” nei territori più deprivati, in modo da assicurare asili nido, servizi per la prima infanzia, scuole primarie a tempo pieno con mense, spazi per lo sport e il movimento, ambienti scolastici sicuri, sostenibili e digitali. All’apertura di questo nuovo anno scolastico – aggiunge -, chiediamo inoltre alle Regioni e agli Uffici scolastici regionali la massima vigilanza nel rispetto di quelle norme che dovrebbero tutelare le famiglie più in difficoltà, a partire dal tetto di spesa per i libri di testo e dal divieto di imporre alle famiglie contributi “volontari”; chiediamo infine interventi straordinari per assicurare la gratuità dei servizi di mensa per i bambini e le bambine la cui situazione economica è peggiorata in questa fase. Dobbiamo fare di tutto per evitare che il peso della crisi economica colpisca proprio le bambine, i bambini e gli adolescenti che in questi giorni entrano di nuovo in classe», esorta. Iniziando con l’aumentare «significativamente» le risorse per l’istruzione, portandole al pari della media europea: il 5% del Pil. In concreto, significherebbe rendere disponibili circa 93 miliardi, contro i circa 71 stanziati nel 2020.

Nelle parole di Milano, si tratta di «un investimento irrinunciabile per lo sviluppo del Paese che va messo al centro dell’agenda politica. L’aumento di spesa corrente per l’istruzione, unitamente alla riorganizzazione di fondi che fanno capo ad altri ministeri, ai fondi stanziati dal Pnrr e agli altri fondi europei  – che andranno attentamente monitorati nella loro efficacia per ridurre i divari a livello territoriale -, dovrebbe essere finalizzato sia al giusto riconoscimento retributivo del corpo docente, da sostenere anche nella formazione continua per una didattica rispondente alle attuali esigenze degli studenti, che all’aumento dell’offerta di tempi, spazi e servizi educativi, a partire dalla rete degli asili nido, all’estensione del tempo pieno e delle mense almeno in tutto il ciclo delle scuole primarie, all’adeguamento degli edifici scolastici in termini di sicurezza, sostenibilità e qualità degli ambienti di apprendimento». E ancora: «Chiediamo che la mensa scolastica sia riconosciuta come livello essenziale delle prestazioni (Lep), per garantire a tutti i bambini, nella scuola primaria, almeno un pasto gratuito ed equilibrato al giorno, in linea con gli obiettivi della Garanzia europea per l’infanzia, e di estendere il tempo pieno a tutte le classi della scuola primaria. Queste due ultime misure da sole – prosegue la direttrice dei Programmi Italia-Europa –  sarebbero un vero punto di svolta per migliorare i livelli di apprendimento di tutti gli alunni del nostro Paese, anche quelli che provengono da famiglie più svantaggiate economicamente e socialmente, e per prevenire la dispersione scolastica».

Il rapporto raccoglie anche commenti e suggerimenti di docenti e studenti, concordi nel mettere in evidenza un aspetto cruciale, rispetto all’efficacia dei nuovi investimenti sulla scuola: il «superamento della logica del bando o del finanziamento a pioggia, in favore di una co-programmazione e co-progettazione tra reti di scuole, comunità e istituzioni locali – riferisce Milano -. Anche a questo scopo, è necessario sostenere i Patti Educativi di Comunità, per favorire la partecipazione e la collaborazione degli attori educativi, culturali e sociali del territorio, istituzioni, terzo settore, settore privato, nella vita di una scuola aperta», conclude. Una scuola così, più forte e capace di ridurre le disuguaglianze e rispondere ai bisogni reali dei territori, sarebbe anche la migliore risposta alla sfida che bambine, bambini e adolescenti con background migratorio – il 10,3% degli iscritti nelle scuole italiane di ogni ordine e grado nell’anno scolastico 2020-21 – affrontano ogni giorno nel loro percorso scolastico in Italia, fondamentale per la loro integrazione. Lo dimostrano i dati: nonostante il 66,7% di loro sia nato in Italia, più di 1 studente su 4 di origine straniera acquisisce un ritardo dovuto alla ripetizione di uno o più anni scolastici, contro il 7,5% dei compagni di origine italiana. Un divario che ha molteplici fattori: dalle «rappresentazioni stereotipate sugli studenti con background migratorio, che si riflettono negli orientamenti spesso inconsapevoli di insegnanti, amministratori o persino coetanei», alla «restrizione delle opportunità culturali, ricreative ed educative non formali, specie nelle periferie dei grandi agglomerati urbani o nei centri rurali. In più – si legge nel documento -, la scuola, la cui capacità inclusiva dipende ancora largamente da fattori contingenti, relativi spesso al singolo istituto o persino dirigente o docente, sembra dover maturare nella messa a punto di approcci e interventi maggiormente sistematici, che non vadano però a scapito della creatività mostrata spesso nei territori e singoli contesti».

7 settembre 2022