Scuola: in Italia poco più un bambino su due ha accesso al servizio mensa
I dati diffusi da Save the Children e l’accento sulle «rilevanti» differenze territoriali. La richiesta di istituire un Fondo di contrasto alla povertà alimentare a scuola
In Italia poco più di un bambino su due (55,2% degli alunni della scuola primaria) ha accesso alla mensa scolastica, con differenze territoriali molto rilevanti, dai valori compresi tra il 6% e l’8% nelle province di Palermo, Ragusa e Siracusa, al 96% di Firenze. Le percentuali più basse, in 5 regioni del Sud: Sicilia (11,2%), seguita da Puglia (16,9%), Campania (21,3%), Calabria (25,3%) e Molise (27,4%). Liguria (86,5%), Toscana (82,7%) e Piemonte (79,4%) sono invece le regioni più virtuose. «Eppure, rendere gratuita la mensa scolastica comporterebbe una spesa di bilancio che oscilla tra i 243 milioni di euro l’anno e i 2,4 miliardi circa, a seconda che il servizio sia offerto gratuitamente al 10% degli studenti delle scuole primarie o alla totalità».
A sottolinearlo è Save the Children, nel policy paper redatto con l’Osservatorio sui conti pubblici italiani, dedicato proprio al tema “Mense scolastiche: un servizio essenziale per ridurre le disuguaglianze», presentato oggi, 30 novembre, alla Camera dei deputati. Il servizio mensa nelle scuole, rilevano dall’organizzazione, è «essenziale per garantire agli studenti, soprattutto quelli in condizioni di maggior bisogno, il consumo di almeno un pasto sano ed equilibrato al giorno, come previsto dal Piano di azione nazionale per l’attuazione della Garanzia europea per l’infanzia». Basti pensare che in Italia nel 2022 il 13,4% dei minori (pari a circa 1,27 milioni), con un picco del 15,9% nel Mezzogiorno, viveva in condizioni di povertà assoluta e quelli che si trovano in condizioni di povertà estrema (con meno di 2,15 dollari al giorno) sono l’1,7% secondo recenti stime della Banca mondiale e dell’Unicef. Inoltre, il 27% dei minori nel nostro Paese è in sovrappeso o obeso (con valori che superano il 20% in molte regioni del Sud) e un bambino su 20 vive in povertà alimentare, cioè senza un pasto proteico al giorno.
Altro snodo critico del dossier, il tempo pieno, di cui beneficiano, secondo i dati presentati, due alunni della scuola primaria su cinque (40%), con le percentuali più basse in Molise (9,4%), Sicilia (11,1%) e Puglia (18,4%); le più alte nel Lazio (58,4%), in Toscana (55,5%) e in Lombardia (55,1%). «Il tempo pieno – la cui estensione è legata alla dotazione di mense nelle scuole – è uno strumento fondamentale per combattere la dispersione scolastica e comporta un aumento dell’offerta formativa che genera benefici sia per gli studenti, accrescendone le possibilità di risultati scolastici migliori, sia per i genitori, con effetti positivi in particolare sull’occupazione femminile», è l’analisi di Save the Children.
In Italia, il tasso di abbandono scolastico è all’11,5%, con le percentuali più alte in Sicilia (18,8%), Campania (16,1%) e Sardegna (14,7%), mentre la media europea si attesta al 9,6%. La dispersione implicita, sebbene diminuita dal 9,8% del 2021 all’8,7% del 2023, mostra ancora valori superiori a quelli registrati prima della pandemia. A fronte di questi dati, «sono ancora troppo pochi le bambine e i bambini che in Italia usufruiscono di mensa e tempo pieno a scuola e con forti discontinuità territoriali che rischiano di penalizzare intere aree del Paese, in particolare nel Mezzogiorno». Il policy paper contiene quindi una stima di quanto costerebbe rendere gratuita la mensa scolastica per gli alunni della scuola primaria, formulata partendo dall’attuale frequenza del servizio nei diversi Comuni e dai costi rilevati dall’ultimo report di Cittadinanzattiva. Offrire il servizio gratuitamente al 10% degli alunni delle scuole primarie comporterebbe una spesa di bilancio a livello nazionale di circa 243 milioni di euro l’anno, di 486 milioni circa per il 20%, 730 milioni circa per il 30%, poco più 1,2 miliardi per la metà dei bambini, mentre fornire la mensa gratuita a tutti gli alunni delle primarie avrebbe un costo di circa 2,4 miliardi.
«Il Pnrr prevede un investimento significativo per il potenziamento del tempo pieno, ma se non si crea una sinergia con le risorse statali, da solo non basta a colmare il ritardo del nostro Paese – ha evidenziato Antonella Inverno, responsabile Ricerca, dati e politiche di Save the Children -. Per questo chiediamo un investimento per garantire a tutti gli alunni della scuola primaria l’accesso al servizio mensa, uno strumento efficace per contrastare la povertà minorile, ancora in aumento quest’anno, e anche per combattere la dispersione scolastica, proprio attraverso l’estensione del tempo pieno. La refezione scolastica – ha aggiunto – va riconosciuta per quello che è: un servizio pubblico essenziale, per il quale occorre stabilire uno specifico Lep (Livello essenziale di prestazione). Un primo passo in questa direzione può essere l’istituzione di un Fondo di contrasto alla povertà alimentare a scuola».
Al momento, il Pnrr, che prevede uno stanziamento complessivo di circa 31 miliardi di euro per Istruzione e ricerca, investe 960 milioni per l’estensione del tempo pieno a scuola. 600 milioni in particolare sono dedicati alla costruzione di nuove mense o alla riqualificazione di quelle esistenti, con l’obiettivo di mille locali e spazi nuovi o riqualificati da destinare a mense. Complessivamente, sono stati finanziati 1.052 interventi. Per il 52% si tratta di nuove costruzioni di mense, il 27% riguarda interventi di riqualificazione, riconversione e messa in sicurezza e il restante 21% riguarda la demolizione, ricostruzione e ampliamento di strutture esistenti. Il 50% degli interventi finanziati è localizzato nel Mezzogiorno, a cui è andato il 41% circa dei quasi 455 milioni di euro stanziati per i progetti ammessi. «Tuttavia, non è possibile stimare quanti saranno i bambini e le bambine a poter beneficiare di questo investimento, visti anche i costi che i Comuni e le famiglie devono sostenere perché i minori possano usufruirne».
In concreto, Save the Children chiede, come primo passo, di istituire un “Fondo di contrasto alla povertà alimentare a scuola”, con una dotazione di 2 milioni di euro per il 2024, 2,5 milioni per il 2025 e 3 milioni a partire dal 2026, da destinare ai Comuni che utilizzano una quota di bilancio per consentire l’accesso alla mensa agli studenti della scuola primaria appartenenti a famiglie che, a causa di condizioni oggettive di impoverimento, non riescono a provvedere al pagamento delle rette; aumentare le risorse destinate al Fondo di solidarietà comunale di 45 milioni di euro per il 2024 (per garantire, tenuto conto dell’inflazione stimata, l’accesso gratuito all’1,7% della popolazione scolastica delle scuole primarie), 107 milioni nel 2025 (accesso gratuito per il 4% della popolazione scolastica delle scuole primarie), 219 milioni nel 2026 (accesso gratuito per l’8% della popolazione scolastica delle scuole primarie) e progressivamente ogni anno fino a raggiungere la cifra di 1,48 miliardi nel 2030 (per garantire l’accesso gratuito al 50% degli alunni delle scuole primarie). Infine, l’organizzazione ritiene necessario garantire soglie di esenzione, tariffe minime e massime uniformi su tutto il territorio nazionale da applicare a tutte le famiglie – residenti e non – secondo il principio di contribuzione progressiva sulla base dell’Isee.
30 novembre 2023