Scuola, il coraggio delle parole

Una piccola ma bella discussione vissuta in classe sul verbo “trasumanar” e sulle implicazioni di altri neologismi inventati da Dante, a partire dalla Divina Commedia

«E quindi Beatrice guarda il sole, Dante pure, ma ci riesce per poco, anche se per quel poco vede che la luce si aggiunge alla luce, il che significa che stanno volando verso il sole; ma poi lui non ce la fa più e allora guarda Beatrice che continua a guardare, il che, insomma, è una allegoria; e alla fine, insomma» – e la ragazza spazientita torna a puntare il dito sul testo – «trasumanar significar per verba / non si poria», «ecco, “trasumanar”, il verbo che lei c’ha spiegato che Dante se l’è inventato e che significa che va oltre l’umano, insomma, quei due arrivano in cielo». «Bene, brava, l’hai commentato bene». «Che poi però, questa cosa della parola inventata, insomma prof…». «Insomma cosa?». «Boh, questa cosa che Dante si inventa le parole, mica l’ho capita». «Va bene, hai finito. Il voto te lo metto dopo, voi prendete il quaderno, copiate quello che scrivo alla lavagna, mentre lo faccio ascoltate». «Ma, adesso?», «Sì, adesso».

«Queste le ha inventate tutte lui: “inmillare”, moltiplicarsi all’infinito, sì quella storiella che vi dissi degli scacchi, e poi “insemprare”, continuare per sempre, essere per sempre, “colà dove gioir s’insempra”, che altro dovrei aggiungere? E poi: “indiarsi”, avvicinarsi, o meglio, partecipare, essere nella contemplazione di Dio, ma pure anche “indracarsi”, diventare un drago, una bestia insomma. Scritto tutti? Avanti. “Infuturarsi”, “s’infutura la tua vita”, ma davvero, che s’infuturino le vostre vite, solo quello conta e poi, sentite questa, “inzaffirarsi”, ma anche “ingemmarsi”, facile, nemmeno ve le spiego. Vi spiego questa invece: “imparadisare”, quello che vi capita quando vi innamorate? No, di più, di più, e poi sentite questa, scrivete, “insusarsi”, che questa m’è sempre piaciuta, è un programma politico questa, di vita, andare in alto, alzare la testa, l’ha fatto Dante, speriamo anche noi».

«Ma non è finita», «scriviamo ancora?», «e certo che dovete scrivere ancora. Questa: “immegliarsi”, diventare migliori, e diventiamolo migliori, ma davvero, oppure sentite queste, “intuarsi”, “inmiarsi”, “inluiarsi” e “inleiarsi”: la prossima volta che promettete amore eterno, ditelo così, “s’io m’intuassi, come tu t’inmii”, così dovreste dirvelo». «Abbiamo finito?». «No, ci sarebbe “dismalare”, liberiamoci dal male, facciamolo tutti; “trasmodare”, oltrepassare i limiti, che qui il vizio è quello di farvi volare bassi e infine quella, sì, la più bella di tutte, quella da cui siamo partiti: “trasumanar”, trascendere l’umano, che Dante l’ha detta quando ha guardato quella donna che nell’amore veramente gli ha fatto superare l’umano, l’ha fatto essere più umano. Ma per ora basta, che sta per suonare la campanella».

(Va da sé che questa lezione non c’è mai stata veramente, se non l’occasione che me l’ha fatta fantasticare così come l’ho poi scritta: una piccola ma bella discussione vissuta in classe sul verbo “trasumanar”. Eppure, per fare scuola, a volte mi dico che non servirebbe altro. Giusto il coraggio di certe parole, come quello di chi ha deciso di inventarle, certe parole, che bisognerebbe davvero ringraziare il cielo per chi le ha tirate fuori dal nulla, per farle essere e per farci essere, certe parole).

10 novembre 2021