Scifoni, il teatro e la fede

L’attore romano racconta la sua carriera, dagli inizi con Poli all’esordio nel cinema con “La meglio gioventù”, passando per la tv, fino agli spettacoli su Gesù

Con l’inizio di luglio, alcune sale cinematografiche danno segnali di riapertura. In parallelo cerca di rimettersi in movimento l’attività all’aperto che la stagione estiva invita a rimodellare sulle attuali esigenze di sicurezza. Per darci il polso della situazione, ascoltiamo l’opinione di Giovanni Scifoni, attore che si muove ad ampio raggio tra teatro, cinema, televisione. Romano, classe 1976, Scifoni è in grado di proporsi in modo serio e pertinente su registri drammatici, comici, brillanti.

Giovanni, hai cominciato con l’Accademia Nazionale d’Arte drammatica, dove ti sei diplomato nel 1998 e subito misurato con nomi importanti della scena teatrale nazionale. Come ricordi i tuoi esordi?
Ho un ricordo che definirei traumatico. Lasci il mito, la favola e subito sei chiamato a misurarti con il lavoro. Io con Paolo Poli, che mi ha insegnato tantissimo e mi ha dato un’impronta, sia nel comportamento sia nella scrittura. Ricordo Poli come una persona molto seria, quasi (direi) un “cattivello”. «Sei carino – mi diceva – ma ti manca il talento….». Poi le cose sono andate bene, è nata per due anni una bella collaborazione che mi ha lasciato una grande eredità.

Nel 2003 esordisci al cinema con “La meglio gioventù” di Marco Tullio Giordana nel ruolo di Berto
Il lavoro con Giordana è stato importantissimo. Metteva nel suo modo di fare cinema uno sguardo appassionato capace di trasmettermi alla fine una formazione opposta ma complementare a quella del teatro.

Poco dopo, è il 2005, arrivi anche in televisione come protagonista nella miniserie “Mio figlio” accanto a Lando Buzzanca. Nel passaggio dal teatro al grande e al piccolo schermo, si avverte qualche cambiamento.
Ho cominciato in effetti a fare molta televisione tra Rai e Mediaset, e per alcuni anni ho lasciato il teatro. In televisione si impone un metodo di lavoro diverso: “disimpari” (si potrebbe dire) a fare molte cose ma ne impari altre. Sei chiamato soprattutto a “contenere” le espressioni, a trattenere gesti eccessivi e devi tirare fuori tutt’altro. La tv è un modo di lavorare molto veloce, richiede minor cura.

Sul finire del decennio ti confronti con la lunga serialità targata Rai 1, e partecipi a “Don Matteo 6”, “Un medico in famiglia”, “Un passo dal cielo”. Una importante forma di fidelizzazione col pubblico.
Le persone ti vedono in tv e pensano a te come un “divo” miliardario, come appartenente a un Olimpo intoccabile ma se poi sparisci all’improvviso, ti cancellano e si dimenticano. Il pubblico è fatto così.

Dal 2010 porti in scena, prima a Roma e poi in tournée, alcuni testi che scrivi e interpreti, spesso in forma di monologo: “Le ultime sette parole di Cristo” (2010), e “Guai a voi ricchi” (2011), fino a “Santo piacere” (2017 ), spettacoli che rileggono in modo ironico e provocatorio l’attualità della vicenda di Cristo.
“Santo piacere” ha avuto un grande successo fino all’inizio dell’emergenza Covid, che ha bloccato una lunga tournée. Il monologo mi è molto congeniale e ha cambiato la mia vita. Offre un modo nuovo di affrontare argomenti seri e importanti: fede, religione, famiglia, sentimenti. Ho cercato di parlare di questi temi al grande pubblico senza essere irriverente o distruttivo.

Dal 2015 sei stato ospite fisso nella trasmissione “Beati voi” su Tv 2000.
L’esperienza a Tv 2000 per raccontare la vita dei santi è molto lusinghiera, senza essere irriverente o anticlericale. Io sono un cattolico credente, volevo liberarmi dei meccanismi di autocensura che spesso accompagnano le vite dei santi. Ho fatto in modo che non andasse perduto l’aspetto teologico e divino, pur restando nell’umano. Il racconto è poi continuato sul web e l’esperienza si è incontrata con i social. Così RaiPlay ha comprato il format, facendone racconti pur comici ma con una forte impronta di spiritualità.

Tu e tua moglie Elisabetta avete tre figli in età scolare. Come avete gestito a casa questo difficile periodo?
Nella preparazione dei video abbiamo coinvolto anche i nostri figli. In casa si è instaurato un senso di responsabilità educativa che passava dalla scuola a noi genitori. Ci siamo specializzati nel fare tante cose e abbiamo avvertito in quel momento il bisogno della famiglia come comunità.

Il settore dello spettacolo è in difficoltà. Pensi che sarà possibile recuperare una certa tranquillità per tutti, anche per chi ha lavorato meno? Come vedi il tuo immediato futuro?
All’inizio c’era una forte disperazione. Senza ricchezze alle spalle, non sapevamo come ci saremmo mantenuti. Il web è stata una svolta importante. Ho potuto lavorare anche come autore, ma per molti colleghi la situazione è tuttora critica. Per il futuro mi auguro di riprendere la mia tournée, e poi di avere il tempo per realizzare le idee alle quali penso, come un libro e una sceneggiatura per un film.

6 luglio 2020