Save the Children: l’infanzia «a rischio estinzione»

Diffuso il XII Atlante. Situazione critica anche nel Lazio, dove quasi 1 minore su 10 vive in condizioni di povertà relativa. Senza scuola l’11,9% dei 18-24enni

Infanzia «a rischio estinzione». Il XII Atlante dell’infanzia a rischio di Save the Children, dal titolo “Il futuro è già qui” – diffuso oggi, 15 novembre, a pochi giorni dalla Giornata mondiale dell’infanzia e dell’adolescenza -, fotografa una realtà fatta di disuguaglianze in aumento e ascensore sociale in caduta libera, al punto da spingere in una condizione di povertà relativa il 9,2% dei bambini in Italia. Meno di 1 su 5 quelli che hanno accesso agli asili nido, mentre differenze marcate tra le diverse province riguardano l’accesso a mensa e tempo pieno.

Anche nel Lazio la fotografia dell’infanzia non è delle migliori: «Quasi un minore su 10 vive in condizioni di povertà relativa. Gli “early school leavers” – cioè ragazzi tra i 18 e i 24 anni che non studiano e non hanno concluso il ciclo d’istruzione – sono l’11,9% e i NeetT – giovani tra i 15 e i 29 anni che non lavorano, non studiano e non sono inseriti in alcun percorso di formazione – raggiungono la percentuale del 22,4% – informano dall’organizzazione -. In entrambi i casi si tratta di percentuali leggermente inferiori alla media nazionale (rispettivamente 13,1% e 23,3%) ma molto lontane da quelle europee (9,9% e 13,7%)».

In 15 anni in Italia, si legge nell’Atlante, «la popolazione di bambine, bambini e adolescenti è diminuita di circa 600mila minori e oggi meno di un cittadino su 6 non ha compiuto i 18 anni. E nello stesso arco di tempo è dilagata la povertà assoluta, con un milione di bambine, bambini e adolescenti in più senza lo stretto necessario per vivere dignitosamente. Un debito demografico, economico e soprattutto un debito di investimento nelle generazioni più giovani, che ha travolto tutto il Paese: tra il 2010 e il 2016 la spesa per l’istruzione in Italia è stata tagliata di mezzo punto di Pil – è la denuncia -, e si è risparmiato anche sui servizi alla prima infanzia, le mense e il tempo pieno, lasciando che, allo scoppio della pandemia, i divari e le disuguaglianze di opportunità spianassero la strada ad una crisi educativa senza precedenti».

La pubblicazione, a cura di Vichi De Marchi ed edita da Ponte alle Grazie, racconta un’Italia ogni giorno più vecchia, ingabbiata nelle diseguaglianze sociali, economiche e geografiche, in cui i minori sono sempre più poveri e non vengono ascoltati. Giovani generazioni su cui non si è investito a sufficienza, che, a causa della pandemia da Covid-19, hanno perso mesi di scuola, hanno sofferto l’isolamento e la perdita di relazioni, e a cui è urgente fornire risposte concrete. Per Daniela Fatarella, direttrice generale dell’organizzazione, «siamo di fronte ad un domani incerto. Da un lato c’è un futuro che rischia di essere compromesso dalla crisi economica, educativa, climatica. Dall’altro sembra esserci la miopia della politica che in questi ultimi decenni non ha investito a sufficienza sul bene più prezioso del nostro paese, l’infanzia. In Italia – prosegue – abbiamo un milione e trecentomila minori in povertà assoluta e la percentuale di NeeT più alta d’Europa, con un esercito di giovani che non studia, non cerca lavoro e non si forma. Giovani che non sono messi nelle condizioni di contribuire attivamente allo sviluppo del Paese, senza dimenticare che povertà e assenza di educazione sono il terreno perfetto per attrarre risorse nelle mafie organizzate». Di qui l’invito ad «ascoltare le istanze di bambine, bambini e ragazzi. Si aspettano una società diversa e dobbiamo renderli protagonisti di questo cambiamento. Il tempo delle parole è passato e ora bisogna immediatamente impegnarsi in politiche concrete a favore dell’infanzia: i fondi dedicati alla Next Generation sono risorse importanti che possono trasformare le parole in realtà ed è un’occasione che non possiamo perdere».

Per quanto riguarda il Lazio, meno di un bambino su 5 (18,8%) usufruisce di asili nido o servizi integrativi per l’infanzia finanziati dai Comuni: un dato al di sopra della media nazionale, che si attesta al 14,7%. La spesa media pro capite (per ogni bambino sotto i 3 anni) dei Comuni del Lazio per la prima infanzia è di 1.882 euro ciascuno: un dato intermedio se si pensa che in Italia si passa dalla spesa di Trento di 2.481 euro fino ai 149 euro in Calabria. Ma anche crescendo le disuguaglianze non spariscono. Basti pensare che in Italia solo il 36,3% delle classi della scuola primaria usufruisce del tempo pieno, con forti disparità sul territorio. Latina si ferma all’11,6%, Frosinone all’11,9%, Viterbo al 15%, Rieti al 38,6%, mentre Roma arriva al 71,1%. Disparità anche per le mense scolastiche: in provincia di Frosinone la frequenta il 29,6%, a Latina si scende al 19,4%, a Roma e Rieti si sale rispettivamente al 65,2% e 82,2% e a Viterbo al 31,3%, a fronte di una media nazionale del 56,1%.

Gli ultimi test Invalsi evidenziano anche cali di apprendimento e divari, su cui influiscono fortemente i mesi di chiusura delle scuole durante la pandemia. La dispersione implicita, ovvero il mancato raggiungimento del livello sufficiente in tutte le prove, in Italia è in media del 10% nell’ultimo anno delle scuole superiori, con significative variazioni su scala regionale. Nel Lazio, in provincia di Latina raggiungeva il 10,9%, in quella di Frosinone il 14,6%, provincia di Rieti il 9,7%, in quella di Roma l’11,2% e nella provincia di Viterbo si attestava al 10,5%. A subire le conseguenze più gravi della crisi, i bambini e gli adolescenti che erano già in condizione di svantaggio. La didattica a distanza, evidenziano da Save the Children, «ha fatto venire meno l’effetto perequativo della scuola, lasciando indietro gli studenti che per mancanza di strumenti e di aiuto in casa non sono riusciti a stare al passo col programma».

Le diseguaglianze sociali si traducono anche nell’impossibilità di soddisfare esigenze basilari: già nel 2019 l’indagine Eu-Silc Eurostat certificava in Italia un tasso di povertà alimentare dei bambini tra 1 e 15 anni del 6%. Nell’anno della pandemia, i dati sulla spesa delle famiglie con figli minori mostrano differenze notevoli tra quelle più ricche e quelle in difficoltà: al Nord la spesa alimentare media mensile di una famiglia benestante era di 913 euro, due volte e mezzo quella di una famiglia del quinto meno abbiente, che spendeva 380 euro. Al Centro la differenza aumenta e nel Mezzogiorno si allarga passando da 1267 euro per le famiglie più abbienti a 442 per quelle più povere. Per il quinto di famiglie più in difficoltà, la spesa alimentare e quella per l’abitazione, incluse le bollette, occupa la gran parte del bilancio familiare, lasciando poco e niente per spese importanti per la cultura, lo sport, la salute e per l’istruzione dei figli. Proprio su queste voci di spesa “educative” e generative la forbice tra famiglie benestanti e in difficoltà si allarga drammaticamente, segnalando anche un possibile divario di offerta territoriale di opportunità legato ai luoghi in cui crescono i bambini.

Con la pandemia, spiega Raffaela Milano, direttrice dei Programmi Italia- Europa di Save the Children, «i divari nelle opportunità di crescita si sono ampliati non solo lungo la linea geografica nord sud, ma anche all’interno delle regioni più sviluppate, nelle grandi città come nelle aree interne. Quella descritta dall’Atlante è una geografia dell’infanzia che svela ingiustizie di opportunità, di diritti e di futuro». Per Milano, «il punto di svolta per invertire la rotta è il Pnrr, combinato alla nuova programmazione dei fondi europei e alla Child Guarantee, un investimento complessivo sull’infanzia che non ha precedenti dal dopoguerra. Ma se l’impiego di queste risorse sarà volto a rafforzare solo i territori più attrezzati e verrà tutto deciso dall’alto, senza un coinvolgimento delle comunità locali e degli stessi ragazzi e ragazze, il rischio reale – avverte – è quello di migliorare gli indicatori nazionali senza tuttavia ridurre, anzi aggravando, le disuguaglianze». Ancora: «Gli investimenti nelle infrastrutture previsti dal Piano vanno subito collegati a un aumento permanente della spesa per i servizi. Occorre fare del Pnrr non un insieme di progetti ma una nuova direzione di marcia per il Paese, dove i diritti di tutti i bambini, le bambine e gli adolescenti siano messi al primo posto delle politiche».

15 novembre 2021