Sara, la ferita aperta tra i figli di Abramo

Nella Bibbia alla morte del patriarca i due fratelli Ismaele e Isacco, rispettivamente patriarca dei musulmani e degli ebrei, sono presenti e riconciliati. Nella storia reale non è così

Sara, la “principessa”, è la proto-matriarca degli ebrei. La notissima moglie di Abramo è una figura solenne e intraprendente nella storia delle origini di Israele. Abramo nacque a Ur della Caldea – nella parte orientale dell’attuale Iraq – ma il Signore lo chiamò perché “uscisse” dalla sua terra e, come un migrante, entrasse nel Paese dei Cananei. Allora «Abram prese la moglie Sarài e Lot, figlio di suo fratello, e tutti i beni che avevano acquistati in Carran e tutte le persone che lì si erano procurate e si incamminarono verso la terra di Canaan» (Gen 12,5). Quando, però, giunsero in Canaan, una carestia colpì quella regione costringendo Abramo a scendere in Egitto per trovare pane e fortuna. Certo, il timore di entrare nel ricco mondo del Faraone e la paura di essere ucciso stringevano il cuore ad Abramo, che pensò di reagirvi utilizzando proprio la bellezza di Sara. Non si fece scrupoli a chiederle di dire al Faraone di essere soltanto sua sorella e non anche sua moglie. E fu così che «la donna fu presa e condotta nella casa del faraone. A causa di lei, egli trattò bene Abram, che ricevette greggi e armenti e asini, schiavi e schiave, asine e cammelli» (Gen 12,14-16).

Mettendo a disposizione il suo corpo, Sara non solo salvò la vita a suo marito ma lo rese anche ricchissimo. Restava, ora, il problema di dargli una discendenza, di partorirgli un figlio maschio che potesse rendere eterna la memoria del suo nome. Ma i figli non venivano e la bellezza della principessa avvizziva. Con fredda razionalità e col coraggio già ampiamente mostrato in gioventù, neanche stavolta si diede per vinta. Prese la sua schiava e «disse ad Abram: Ecco, il Signore mi ha impedito di aver prole; unisciti alla mia schiava: forse da lei potrò avere figli» (Gen 16,2).

Il pragmatismo di Sara subì uno scacco solo in un’occasione: quando tre uomini giunti alle tende di Abramo a Mamre, gli dissero che le sarebbe nato un figlio. Sara ne rise, dietro la tenda, pensando ai suoi novant’anni di vecchia signora ormai dimentica del sogno di partorire che per decenni l’aveva accompagnata, quand’era ancora in età. Eppure quel figlio nacque davvero e Sara rise ancora ma di quel riso di misterioso amore di cui, come canta Leopardi, «ride la primavera». Ma il cinismo di Sara, la sua freddezza nel calcolare i vantaggi e gli svantaggi di ogni situazione torneranno con forza allo svezzamento di Isacco (cf. Gen 21,8-9). Giorno di grande festa a cui, ovviamente, partecipa tutta la famiglia clanica di Abramo. C’è anche Ismaele, il fratello maggiore, figlio di quella schiava che Sara stessa aveva messo nelle braccia di suo marito purché avesse da lei una discendenza.

Ismaele – ormai quattordicenne – scherzava e giocava felice col fratellino ancora piccino. Ma Sara pensò bene di separarli, interrompendo l’incanto che univa i figli di Abramo. Per paura che il figlio della schiava volesse dividere l’eredità di Abramo con suo figlio, Sara costrinse il marito a scacciare Ismaele e sua madre nel deserto, condannandoli a morte (cf. Gen 21,10-11). Fortunatamente un angelo di Dio venne a salvarli (cf. Gen 21,17ss.). Quel giorno, però, nel racconto biblico, serve a spiegare una ferita aperta: quella tra i due figli di Abramo, Ismaele, che diventerà il patriarca dei musulmani, e Isacco, che sarà patriarca degli ebrei. Una ferita che nella Bibbia rimargina perché alla morte di Abramo i due fratelli sono ambedue presenti e riconciliati, ma nella storia reale, anche se sembra assurdo, sanguina ancora.

11 ottobre 2023