Sant’Egidio: «L’Europa aiuti l’Italia a salvare le persone in mare»

La conferenza di stampa del presidente Impagliazzo per lanciare le proposte della Comunità per un’immigrazione regolare. «Chiediamo di aumentare il numero di reinsediamenti, che nell’Ue sono molto bassi». E ancora: «Riaprire centri di accoglienza diffusi sul territorio»

«Non volevo mettere le mie mani nel sangue degli altri». Ahmad ha 31 anni ed è in Italia da quasi 4 anni. Grazie ai corridoi umanitari della Comunità di Sant’Egidio, a marzo 2013 ha lasciato il Libano, dove era scappato per non arruolarsi quando è scoppiata la guerra in Siria, il suo Paese d’origine. «Alla mia età ti prendono per fare il servizio militare, ma io mi sono rifiutato perché non volevo ammazzare nessuno». Ahmad fa il mediatore culturale per Sant’Egidio e ricorre al suo italiano fluente per raccontare la sua storia. È una delle tante che si incrociano nella Comunità, la realtà che da decenni si occupa di immigrazione portando avanti modelli virtuosi di integrazione. Adesso, Ahmad lavora nella Sala operativa sociale del Comune: «Con l’unità notturna facciamo i giri di notte per assistere le persone senza dimora», racconta. Come lui, sono diversi i rifugiati politici che nella Capitale stanno mettendo a posto una vita dilaniata da conflitti e perdite. È il caso di Alla, un ragazzo di 33 anni. Anche lui ha lasciato la Siria per fuggire in Libano. «Ho conosciuto la Comunità di Sant’Egidio e a febbraio di quest’anno mi hanno trasferito qui tramite i corridoi umanitari», spiega.

La Comunità porta avanti un modello di immigrazione legale che si scontra con l’approccio emergenziale con cui, invece, il fenomeno viene trattato. «L’immigrazione non è un’emergenza», esordisce il presidente Marco Impagliazzo nella conferenza stampa convocata per lanciare proposte alternative ai drammatici viaggi in mare. Dalla sede di Sant’Egidio, nel cuore di Trastevere, Impagliazzo parte dai numeri per confutare la tesi dilagante secondo cui l’immigrazione andrebbe frenata. «Le persone sbarcate in Italia quest’anno sono state 113mila – ricorda -, contro le 181mila del 2016, dopo la crisi siriana». Nonostante questo, la cronaca restituisce immagini di centri di accoglienza perennemente sovraffollati, come quello di Lampedusa. Ma questo accade perché «è stato smantellato il sistema di accoglienza», dice Impagliazzo che invita la politica a rivolgersi direttamente all’Europa per gestire con strumenti legali il fenomeno migratorio. «L’Europa deve aiutare l’Italia a salvare le persone in mare, non a respingerle», avanza il presidente di Sant’Egidio. La Comunità chiede di salvare le vite umane invece di esporle al rischio della morte nel Mediterraneo: «Bisogna tornare all’idea di portare nei porti sicuri più vicini le persone che vengono salvate, perché, al contrario, si sta sottoponendo queste persone all’ulteriore fatica di andare in porti molto lontani».

Ai percorsi di salvataggio legale, poi, devo affiancarsi politiche capaci di gestire l’immigrazione nel medio e lungo termine, superando le attuali lungaggini burocratiche. «Chiediamo di aumentare il numero di reinsediamenti che in Europa presentano numeri molto bassi», prosegue Impagliazzo evidenziando che se le persone che vivono nei Paesi di prima accoglienza non vengono reintegrate a un certo punto prenderanno vie illegali. «Bisogna riaprire centri di accoglienza diffusi sul territorio», aggiunge. Lì, in periodi di permanenza che spesso durano mesi, sarebbe indispensabile rendere fruttuoso quel tempo, mentre – per fare un esempio – i decreti sicurezza hanno persino eliminato dai programmi l’apprendimento della lingua italiana. «L’Italia chieda fondi all’Europa per questa prima accoglienza», l’invito di Marco Impagliazzo, che sul tavolo mette anche altre questioni. In primis, quella dei minori non accompagnati. Sono circa 20mila nei centri d’accoglienza italiani e provengono in prevalenza da Egitto, Ucraina, Tunisia e Crimea. «Sono ragazzi tra i 14 e i 17 anni che non si sa dove mandare», dice Impagliazzo: «Servono fondi per le cooperative che si occupano di questi ragazzi», aggiunge, ricordando la risorsa che questa popolazione rappresenta per un’Italia costretta da un’irreversibile crisi demografica. «Diamo più sostegno allo strumento dell’affidamento, perché ci sono molte famiglie che vorrebbero essere affidatarie di questi ragazzi», propone il presidente di Sant’Egidio.

La scuola e il lavoro diventano, dunque, il passo successivo per completare il percorso di integrazione. «Sarebbe necessario ampliare il riconoscimento dei titoli di studio già riconosciuti all’estero», ragiona Impagliazzo pensando, ad esempio, alle molte donne peruviane che hanno studiato in scuole di infermieristica nel loro Paese ma che qui non possono esercitare la loro professione, né consolidare i loro percorsi di studi con nuove conoscenze. Eppure c’è chi in Italia ci è arrivato con il sogno di studiare. «Non posso continuare gli studi, né posso tornare in Siria», racconta Alla, il 33enne arrivato in Italia a febbraio, che dopo gli studi superiori è andato in Libano, dove si è laureato in Scienze politiche e ha frequentato un Master in Relazioni internazionali. «Mi manca solo la tesi», dice, consapevole che molto probabilmente il suo sogno resterà sospeso. Almeno per il momento.

5 settembre 2023