Santa Maria Antiqua, la traslazione dell’icona mariana

Riapre la chiesa costruita nel 982 per ospitare l’icona della “Madonna del conforto”. Vespri solenni a Santa Maria Nova e processione attraverso il Foro

Il 15 marzo riapre la chiesa costruita nel 982 per ospitare l’icona della “Madonna del conforto”. Vespri solenni a Santa Maria Nova e processione attraverso il Foro

Qualcuno la chiama «Madonna del conforto», forse per quegli occhi grandi che sembrano fissare chi la guarda. O forse per quelle mani aperte a sorreggere, teneramente, il Bambino Gesù. Quel che è certo è che si tratta di una delle più antiche icone mariane esistenti al mondo, e in assoluto l’icona su tavola più antica di tutta Roma: risale infatti all’ultimo quarto del VI secolo ed è perfettamente conservata. Se ne prendono cura, da decenni, i monaci Olivetani di Santa Francesca Romana al Palatino, basilica nota anche come Santa Maria Nova. «La chiesa fu costruita nel 982 proprio per ospitare l’icona – racconta il vicerettore dom Vincenzo Patella -, quando la sua precedente sede, che si chiamava appunto Santa Maria Antiqua, fu abbondanata e interrata». Ma da martedì 15, dopo una chiusura di secoli e restauri durati trent’anni, finalmente riaprirà al pubblico. E tornerà a ospitare, per tre mesi, l’immagine della Vergine, insieme a una mostra dedicata all’opera d’arte e alla storia di questo luogo di culto. Per l’occasione, martedì alle 16.30, a Santa Maria Nova verranno celebrati i vespri solenni; quindi l’icona verrà portata in processione attraverso il Foro Romano fino a Santa Maria Antiqua.

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«Sono secoli che non si fa una processione nel Foro – ricorda dom Teodoro Muti, religioso olivetano -; come orario è stato scelto quello pomeridiano, dopo le 17, proprio perché il sito archeologico sarà chiuso ai visitatori e potranno accedervi soltanto i fedeli partecipanti al vespro». Da giovedì sarà poi visibile a fedeli, studiosi e turisti in quella che fu la sua prima casa, tra le antiche mura affrescate. Poi tornerà a Santa Francesca Romana, nella sacrestia dove è abitualmente conservata.

Alta 132 centimentri e larga 97, l’icona è realizzata con «due brani di pittura a encausto su tela incollata su tavola», spiega Maria Andaloro, una delle curatrici della mostra insieme a Giulia Bordi e Giuseppe Morganti. «Sulla superficie del supporto ligneo – prosegue – convivono l’uno accanto all’altro, ma maldestramente, brani pittorici diversi. Il busto della Vergine e il corpo del Bambino sono dipinti a tempera e la loro esecuzione è moderna, probabilmente degli inizi del Cinquecento. Diversamente il volto e il collo della Theotokos, come pure quel che resta del volto del Bambino, sono brani assai più antichi e sono dipinti a encausto». I busti cinquecenteschi furono dipinti per altri visi di epoca medioevale, sovrapposti a quelli visibili oggi: ad accorgersi che sotto la tela si trovava un’immagine più antica fu Pico Cellini; il distacco delle due tele sovrapposte avvenne nel 1950.

«L’esito di questa operazione, delicata, rischiosa, ma riuscita – racconta ancora Andaloro – fu il recupero, davvero straordinario, di due brani di pittura concernenti il volto della Vergine e del Bambino. I brani così recuperati risultano essere ritagliati da un’opera perduta e incollati al supporto attuale. Presentano, specie nel volto del Bambino, segni evidenti di bruciature, da addebitare forse agli effetti di un incendio. Una volta disgiunte, le due opere hanno preso strade diverse. L’immagine antica è stata sistemata nella sagrestia della basilica, quella medievale fu ricollocata sull’altare».

14 marzo 2016