Sanremo «festival del rinnovamento», le pagelle di Salvatori

Per il critico musicale bisogna apprezzare il coraggio di Baglioni: «Ha voluto in questo Festival più che i veterani i nuovi rapper; ne ha chiamati tredici»

Il Festival di Sanremo ha questo potere: tutto lo criticano ma poi tutti, anche solo per curiosità, spingono almeno una volta RaiUno sul pulsante del telecomando durante le serate; tutto lo snobbano ma poi è pienone per le strade della cittadina ligure anche solo di gente che va lì per essere nel posto giusto al momento giusto, per un selfie (una volta si sarebbe detto autografo), un po’ di visibilità, o decine di likes sui social.

Insomma, è un fenomeno di costume sociale ed è l’evento televisivo dell’anno, che piaccia o meno. L’anno scorso quello targato Claudio Baglioni è piaciuto parecchio e quest’anno, per la 69esima edizione, si bissa con il cantautore romano al timone, dal 5 al 9 febbraio. La novità più importante riguarda la gara unica: non ci sarà più, infatti, la divisione tra Campioni e Nuove Proposte, ma i 24 artisti (22 Big, ma molti stenteranno a riconoscere tali alcuni dei nomi, e i 2 vincitori di Sanremo Giovani, andato in onda lo scorso dicembre) concorreranno alla pari per la vittoria all’Ariston.

In gara dunque ci saranno: Loredana Bertè con “Cosa ti aspetti da me”, Il Volo con “Musica che resta”, Ghemon con “Rose viola”, Paola Turci con “L’ultimo ostacolo”, Simone Cristicchi con “Abbi cura di me”, Nek con “Mi farò trovare pronto”, Motta con “Dov’è l’Italia”, Irama con “La ragazza col cuore di latta”, Ultimo con “I tuoi particolari”, Anna Tatangelo con “Le nostre anime di notte” e Zen Circus con “L’amore è una dittatura”, Nino D’Angelo in coppia con il giovane rapper Livio Cori con “Un’altra luce”, Ex Otago con “Solo una canzone”, Patty Pravo e Briga con “Un po’ come la vita”, Boomdabash con “Per un milione”, Francesco Renga con “Aspetto che torni”, Arisa con “Mi sento bene”, Achille Lauro con “Rolls Royce”, Daniele Silvestri con “Argento vivo”, i Negrita con “I ragazzi stanno bene”, Enrico Nigiotti con “Nonno Hollywood”, Federica Carta e Shade con “Senza farlo apposta” e  Mahmood con “Soldi”.

Ne abbiamo parlato con Dario Salvatori, noto critico musicale, giornalista, conduttore radiofonico e scrittore, romano, 67 anni e un guardaroba infinito di giacche e camice eccentriche, in partenza per il suo 43° festival.

Nella tua biografia si legge: responsabile artistico del patrimonio sonoro della Rai. In che senso?

Faccio parte del board delle teche e quindi all’interno delle teche decidiamo cosa digitalizzare, cosa restaurare, cosa proporre alle reti, cioè tutto il lavoro che sta alla base del repertorio che si vede in onda.

Che peso ha il Festival di Sanremo in questo patrimonio sonoro?

Beh insomma tanto, tantissimo. In questi due, tre anni, abbiamo trovato delle annate che non c’erano nelle teche, dalle televisioni estere, come la Cecoslovacchia, sfruttando l’eurovisione. Abbiamo potuto acquisire solo i finalisti perché l’ultima serata veniva trasmessa in eurovisione. Insomma, un lavoro molto lungo ma che ci ha dato molta soddisfazione.

 Da questa edizione cosa ti aspetti?

Beh questa dovrebbe essere l’edizione del rinnovamento, come si dice nella politica e se è vero che Sanremo è lo specchio dell’Italia, possiamo usare la stessa terminologia.  Sicuramente Baglioni ha dimostrato coraggio, nel senso che lui ha voluto in questo Festival coloro che stanno nelle classifiche di vendita, che ora non sono più i cantautori, non sono i veterani, ma i nuovi rapper, e lui ne ha chiamati tredici. Coraggioso per un festival che va in onda su una rete la cui età media è 62/63 anni.

Pensi che il pubblico potrà apprezzare questi artisti dai nomi talvolta impronunciabili?

Questo è difficile da dire perché è cambiata la modalità con cui si segue la televisione, cioè prima ci si metteva in salotto cinque ore e si stava lì. Adesso forse il pubblico molto anziano fa ancora quello prima che si addormenti, ma i giovani certamente no, usano altre modalità, lo streaming, le app, lo vedono la notte quando rientrano, non è che stanno lì con Tv Sorrisi e canzoni a vedere quando tocca al loro beniamino, come facevamo noi da piccoli. Ma questo è un pubblico che non entra nell’Auditel. Rimane l’aver avuto il coraggio di svecchiare perché le uniche veterane sono Patty Pravo e Loredana Bertè, che sono le due dive che abbiamo in Italia. Secondo me loro sono già candidate al Premio della Critica, sia l’una che l’altra, per il fatto di essere ancora molto competitive. La Bertè ha dominato il mercato estivo. Facciamo il tifo per loro, meritano il podio perché non possiamo continuare ad assegnare il premio della Critica per anagrafica, come accaduto negli ultimi anni.

 Ma quindi secondo te la frase di gattopardiana memoria “Tutto cambia per non cambiare niente?” non vale per Baglioni?

Se parliamo del cast il cambiamento c’è stato. Gli altri anni protestavano per l’esclusione i grandi assenti, adesso quelli che sono usciti dai talent due anni fa. Poi bisognerà vedere se un cast così paga. Molto dipende anche dallo spettacolo. Certo, poi ci sono delle incongruenze. Io non capisco i super ospiti italiani, Elisa viene per la quinta volta a fare l’ospite, ma perché non si mette in gara? Vorrei capire perché Patty Pravo che ha 53 anni di discografia e 55 di mestiere è in gara, e Alessandra Amoroso è super ospite. Io poi sono un fan del Festival, sono un appassionato, e mi fa piacere che stia in salute. È un format solo italiano che tutto il mondo ci invidia, e tutte le volte che hanno provato a farlo all’estero non ci sono riusciti. Ma l’aspetto artistico merita cura e attenzione.

Di tutti questi anni cosa ti ricordi più volentieri?

Io mi ricordo fortunatamente tante cose, altrimenti sarebbe una ecatombe! Mi ricordo gli anni ricchi di canzoni che abbiamo cantato e continuiamo a cantare, non posso ricordare con piacere le edizioni che sono passate come acqua fresca, di cui non si ricorda nulla e non si canta nulla, perché ci sono anche quelle. E allora speriamo che anche questa sia memorabile!

 

1 febbraio 2018