Sanità, la “sfida” dell’assistenza domiciliare

Nel convegno “Misericordia a domicilio”, diverse le esperienze a confronto. Massimo Pasquo (Caritas): «Attenzione a costruire relazioni primarie»

Nel convegno “Misericordia a domicilio”, diverse le esperienze a confronto. Massimo Pasquo (Caritas): «Attenzione a costruire relazioni primarie»

«Un welfare che sappia rigenerarsi imparando a conciliare la decentralizzazione come attenzione alla persona con una centralizzazione che dia impulso morale ed etico». È questa, secondo il direttore della Caritas di Roma, monsignor Enrico Feroci, la grande sfida che attende la sanità del futuro. Il sacerdote ha introdotto i lavori al convegno “Misericordia a domicilio”, martedì 17 maggio, promosso dall’organismo diocesano in collaborazione con il Centro di pastorale familiare del Vicariato di Roma e con l’Istituto Superiore di Sanita, che si è svolto nell’Aula Pocchiari dell’Istituto. L’obiettivo: condividere diverse esperienze sul tema dell’assistenza domiciliare come nuovo modello per il sistema sanitario italiano, con un focus sul modello applicato a persone in Hiv assistite dalla Caritas romana, evidenziando le criticità e le potenzialità di questo servizio, in una logica di analisi multidisciplinare.

«In una società complessa – ha detto monsignor Feroci – la povertà assume anche le forme di una privazione politica e relazionale. La cittadinanza richiede di ripensare l’intervento sociale». Per il direttore, «l’esperienza dell’assistenza domiciliare della Caritas con i malati in Hiv mostra la vera forza del volontariato in questo processo di cambiamento, con la capacità di costruire ponti dove sono interrotte le relazioni». Un’analisi, quella del sacerdote, suffragata da Walter Ricciardi, presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, che ha illustrato le gravi differenze a livello territoriale sulle cure domiciliari: «Un’assistenza sanitaria territoriale che lo stato deve garantire ma del quale usufruisce solo un decimo dei cittadini del meridione rispetto alle regioni settentrionali». Per Stefano Vella, che all’Istituto Superiore di Sanità dirige il Dipartimento del Farmaco, «l’esperienza dell’assistenza ai malati di Aids della Caritas di Roma è stata un esempio di scuola, ci ha consentito di strutturare piani di azione multidisciplinari ai quali hanno collaborato esperti di molti Paesi». Per Vella «con l’Aids abbiamo scoperto anche che dietro le malattie si celano spesso anche povertà, solitudine ed emarginazione». A evidenziare «l’importanza di queste nuove forme di vicinanza e cura», monsignor Andrea Manto, incaricato per la Pastorale familiare del Vicaritato di Roma. Importanza che diventa ancora più rilevante, ha continuato, «nel caso degli anziani e delle persone con disabilità».

Nel corso del 2015 operatori e volontari della Caritas hanno effettato 16.350 interventi domiciliari riguardanti 400 anziani, a volte di interi nuclei familiari. Di questi 5.500 hanno avuto una rilevanza prioritaria di tipo sanitario, mentre per gli altri l’intervento è legato in maniera principale al bisogno esistenziale di vicinanza e prossimità oppure di sostegno al reddito: compagnia, aiuto nella spesa e nelle faccende domestiche, piccoli contributi per pagare le utenze domestiche. «Si tratta – ha spiegato Massimo Pasquo, responsabile del servizio “Aiuto alla persona” della Caritas – di restituire alla cittadinanza un modo di essere comunità che dia attenzione alla costruzione di relazioni primarie, affettive, corte, di prossimità e di vicinato, a contrasto della solitudine domestica ed esistenziale». Un’opera, secondo Pasquo, che «significa concretamente ridare vita alla casa come luogo di custodia e di espressione di un progetto di vita degna e felice; significa accompagnare percorsi di perdita di senso con una vicinanza qualificata nella relazione; significa scegliere di non volersi distrarre e considerare la qualità di vita dell’altro il pretesto per migliorare quella di tutti».

18 maggio 2016