San Giuseppe, padre di tenerezza e dell’accoglienza

Nella solennità a lui dedicata, l’apertura dell’Anno della famiglia voluto da Francesco. Il ritratto al vivo nella lettera apostolica Patris corde

«Alzati, prendi con te il bambino e sua madre» è il comando di Dio a san Giuseppe, che ritma di slancio il suo cammino, nella partenza della Sacra Famiglia per l’Egitto e nel suo ritorno in Israele. Uno slancio che ci viene trasmesso dalla lettera apostolica Patris corde con cui Papa Francesco ha indetto l’anno dedicato al grande santo iniziato l’8 dicembre, nel 150° della sua proclamazione a patrono della Chiesa universale. Il messaggio risuona incisivo nell’approssimarsi, venerdì 19, della solennità a lui dedicata. Parole che colgono affanni e aspirazioni, episodi vissuti, nelle quali però si staglia il fascino di Giuseppe, che ci spinge a rivolgerci a lui con fiducia e amore in ricerca di intercessione. Soprattutto nell’Anno della famiglia, che inizia proprio questo 19 marzo ed è segnato dalla meditazione della esortazione apostolica Amoris laetitia.

San Giuseppe ci appare in Patris corde al vivo: padre amato, padre nella tenerezza, nell’obbedienza e nell’accoglienza; padre dal coraggio creativo, lavoratore, padre nell’ombra. Lo sfondo della pandemia, che il Papa ha presente, fa sorgere la gratitudine verso tante persone che al pari dello sposo di Maria, apparentemente nascoste, «hanno un protagonismo senza pari nella storia della salvezza». Ai cuori appesantiti dalle fragilità delle persone e delle nostre relazioni, che la presente situazione sembra ingigantire, ma che Amoris laetitia aveva già intercettato, Francesco indica l’aiuto del Padre della tenerezza. Non un sentimento ma una dimensione sapienziale. «La storia della salvezza – scrive – si compie “nella speranza contro ogni speranza” (Rm 4,18). Troppe volte pensiamo che Dio faccia affidamento solo sulla parte buona e vincente di noi mentre in realtà la maggior parte dei suoi disegni si realizza attraverso e nonostante la nostra debolezza». San Paolo, attraverso una “spina” nella carne, ha imparato che la forza del Signore si manifesta pienamente nella debolezza. Siamo nel cuore della tradizione di Israele.

Giuseppe avrà sentito certamente riecheggiare nella sinagoga, durante la preghiera dei Salmi, e come ogni padre avrà tramandato a suo figlio, che il Dio d’Israele è un Dio di tenerezza, che è buono verso tutti e «la sua tenerezza si espande su tutte le creature» (Sal 145,9). La parola tenerezza nell’originale ebraico risale alla radice “rhm” che indica il campo semantico della generazione e rigenerazione materna (André Neher). Non sentimento di compassione ma capacità di far rinascere. E Amoris laetitia, citando il racconto che accompagna il rito della cena pasquale ebraica, sottolinea l’importanza della narrazione delle meraviglie del Signore di generazione in generazione: «Ciò che abbiamo udito e conosciuto e i nostri padri ci hanno raccontato non lo terremo nascosto ai nostri figli».

Alla tenerezza fa eco l’accoglienza, come richiede il realismo cristiano. «Tante volte, nella nostra vita – scrive il Papa – accadono avvenimenti di cui non comprendiamo il significato. La nostra prima reazione è spesso di delusione e ribellione. Giuseppe lascia da parte i suoi ragionamenti per fare spazio a ciò che accade e, per quanto possa apparire ai suoi occhi misterioso, egli lo accoglie, se ne assume la responsabilità e si riconcilia con la propria storia». A volte la vita appare chiusa, le strade sbarrate. Intemperanze giovanili, incapacità genitoriali, scarsa comunicazione tra i coniugi scavano il solco anche in circostanze apparentemente ordinarie. Ma dal recente epocale viaggio del Papa in Iraq rimbalza nelle nostre case una parola chiave: perdono. L’Amoris laetitia ce ne indica la fonte: nelle nostre famiglie deve sempre risuonare il primo annuncio, il “kerygma”, «non c’è nulla di più solido, di più profondo, di più sicuro, di più consistente e di più saggio».

La castità di Giuseppe, sintesi di un atteggiamento che esprime libertà dal possesso, ci può aprire all’attesa della sorpresa, dell’«inedito». La beatificazione di Carlo Acutis, e altri esempi, non fanno forse sperare nella possibilità di una nuova fioritura di santità giovanile? (Pier Luigi Fornari)

16 marzo 2021