Sami Modiano e “Il viaggio più lungo” degli ebrei di Rodi

Alla Fondazione Museo della Shoah la mostra sulla deportazione ad Aushwitz. A inaugurarla, l’uomo, 94 anni, tornato dai campi di concentramento.

Gli occhi di Sami Modiano, sopravvissuto ai campi di concentramento di Auschwitz e Birkenau, sono velati dalle lacrime ma la postura è ritta: nonostante la fragilità dei suoi 94 anni rifiuta infatti di sedersi e vuole «stare in piedi perché quello che ho da dire si deve capire bene». Accanto a uno dei pannelli della mostra “Il viaggio più lungo. La deportazione ad Auschwitz degli ebrei di Rodi e Kos” – inaugurata ieri sera, 19 settembre, alla Casina dei Vallati, sede della Fondazione Museo della Shoah, al Portico d’Ottavia -, Modiano ha raccontato del giorno in cui nel 1938, a causa delle Leggi razziali emanate in Italia in quello stesso anno e applicate a tutti i possedimenti, compresa l’isola di Rodi di cui lui era originario, «il maestro mi chiamò e con un’espressione sul viso dispiaciuta e amareggiata mi disse che ero espulso dalla scuola, proprio io, un bambino di 8 anni lodevole in condotta e nel rendimento».

Alle sue spalle, una foto di classe della Scuola italiana maschile lo immortala sempre in piedi ma sereno, al primo anno di frequenza; due anni dopo «lo studio mi è stato proibito, mi sono dovuto fermare alla terza elementare ed è stato per me qualcosa di tremendo, che mi ha provocato una forte crisi di pianto – ha ricordato -: non ho potuto studiare, come avrei tanto voluto». Insieme a Marcello Pezzetti, il curatore della mostra realizzata in occasione dell’80° anniversario della deportazione degli ebrei di Rodi del 1944, Modiano ha quindi commentato i pannelli che nelle tre stanze dedicate e adibite al ricordo e alla memoria rappresentano un approfondimento storico importante, che unisce alle rigorose ricerche d’archivio non solo fotografie d’epoca degli anni ’30 ma anche materiali video, con testimonianze inedite dei sopravvissuti rodioti.

Ancora, ad arricchire l’esposizione, una grande mappa che illustra il tragitto della deportazione dall’isola greca ai campi di concentramento in Polonia, offrendo una visione chiara del percorso compiuto, e una postazione interattiva che permette ai visitatori un approfondimento attraverso risorse digitali. «Ne esce un quadro sugli ebrei di Rodi straordinario – ha detto Pezzetti -: si parte dal mostrare la vita sull’isola prima della deportazione, con immagini di donne e uomini in scene di vita quotidiana, e si perviene al dopo i campi di concentramento, con i volti dei sopravvissuti e le loro biografie, perché questa volta non abbiamo voluto parlare di Auschwitz e di quel dolore».

Per Mario Venezia, presidente della Fondazione Museo della Shoah, «questa esposizione si propone non solo di ricordare ma anche di offrire uno spazio di riflessione collettiva sul valore della memoria, sulla sua fragilità e sull’importanza di tramandarla». Dello stesso avviso Riccardo Di Segni, rabbino capo della Comunità ebraica di Roma, che nel suo saluto ha ricordato quanto «è importante questa mostra perché racconta un episodio particolare di una immensa tragedia ed è emblematico: è una storia da cui dobbiamo imparare perché certi odi si ripresentano ancora e dobbiamo vigilare poiché rappresentano un rischio non solo per la comunità ebraica ma per tutta l’umanità».

Presente all’inaugurazione anche Christina Karagiorga, vice-capo missione dell’Ambasciata di Grecia a Roma, che ha ricordato come «gli ebrei greci erano una delle comunità più numerose ad Auschwitz e abbiamo una responsabilità verso la loro memoria, a motivo del loro eroismo e per la grande lezione che hanno dato all’umanità».