Ruini: «Dopo la morte? Il mistero d’amore di Dio»

L’intervista all’uscita del suo nuovo libro. «La cultura dominante rifugge da questo tema». La via giusta: «Umiltà e fiducia nel Signore»

L’intervista all’uscita del suo nuovo libro. «La cultura dominante rifugge da questo tema». La via giusta: «Umiltà e fiducia nel Signore»
«Il dopo è Dio stesso, la comunione, in Cristo, con i nostri fratelli in umanità. E non possiamo pretenderlo, ma possiamo sperarlo come il più grande dei doni». Così il cardinale Camillo Ruini, per 17 anni vicario di Roma e per 16 presidente della Cei, vede la vita dopo la morte. Un tema, quello della morte e del “dopo”, su cui ha incentrato il suo nuovo libro, C’è un dopo? La morte e la speranza (Mondadori). Nell’intervista a Roma Sette si sofferma sui contenuti del volume e su alcune implicazioni di attualità del tema che ne è al centro.

Eminenza, nel suo nuovo libro lei affronta un tema scomodo. Cosa l’ha spinta ad approfondirlo?
È un tema che riguarda tutti, piaccia o non piaccia, e riguarda in maniera particolare le persone anziane, tra le quali ci sono certamente anch’io. Ho cercato soprattutto di approfondire le ragioni della speranza cristiana, che è un dono di Dio ma deve essere integrata nella nostra vita e nella nostra cultura: per questo è giusto verificare, nella misura del possibile, la solidità del suo fondamento.

Paradossalmente, è un problema di fronte a cui ci troviamo a fare i conti più volte durante la nostra vita, per la perdita delle persone care o amiche, ma non è certo un argomento di conversazione, tendiamo a rifuggirlo. Come mai?
L’uomo è sempre rifuggito dal pensiero della morte per il semplice motivo che la morte ci fa paura. L’uomo però, a differenza dagli altri animali, si è sempre interrogato sulla morte e ha sempre desiderato, in una forma o nell’altra, una vita futura. Oggi la morte è diventata un tabù perché viviamo in un mondo dominato dalla tecnologia e quando subentra la morte per la tecnologia non c’è più alcuno spazio.

Non le sembra che, oltre a rimuoverlo dalle conversazioni, si tenda sempre di più a rimuoverlo dalla scena pubblica, dallo spazio della socialità?
Sono d’accordo con lei. I mezzi di comunicazione ci propongono continuamente scene di morte, soprattutto di morte violenta. Questa spettacolarizzazione, però, fa apparire la morte come qualcosa di estraneo, come un fenomeno patologico che ci riguarda ben poco. Alla cultura dominante manca la capacità di dire una parola sensata sulla morte, perché le manca la fiducia in un “dopo”.

Nel libro lei scrive che «la stessa predicazione della Chiesa da qualche decennio tende a parlare solo marginalmente» della morte e del dopo. Come recuperare quest’attenzione?
Dando di nuovo, nella nostra predicazione e nella catechesi, uno spazio non marginale al futuro che ci attende: l’esperienza mi dice che quando ne parliamo aumentano l’attenzione e l’interesse degli ascoltatori.

Ho letto in una rivista un articolo di un filosofo con questo incipit: «Il suicidio è il massimo di espressione di libertà e dignità di una persona che sta per perderle entrambe… e l’assistenza al suicidio dovrebbe essere un diritto fondamentale del cittadino di qualsiasi Stato che si voglia civile». Siamo arrivati all’elogio del suicidio come teoria filosofica. Qual è invece il pensiero cristiano sulla morte e sulla libertà e dignità del vivere e del morire?
La morte è la fine della vita terrena ma non è la fine di tutto, è il passaggio alla nostra condizione definitiva. La libertà e la dignità, nel vivere come nel morire, non consistono nel chiuderci in noi stessi ma nell’aprirci a qualcuno che è infinitamente più grande di noi e che ci ha amati per primo. L’elogio del suicidio, invece, è oggettivamente l’elogio dell’autodistruzione.

Ha fatto scalpore l’eutanasia praticata di recente su un minore in Belgio. In Italia sul tema sono state presentate alcune proposte di legge. Condivide la preoccupazione del cardinale Bagnasco secondo cui «il compito vero dello Stato di diritto non è quello di stabilire la vita e la morte ma di farsi carico delle situazioni»?
Certo: è importante soprattutto non lasciare umanamente e moralmente sole le persone vicine a morire, e nemmeno cercare di illuderle, come se non fossero in pericolo di vita. Per questo sia il personale sanitario, sia i parenti e gli amici, sia in particolare i sacerdoti sono chiamati ad offrire una presenza amica.

Prepararsi alla morte non è mai facile. Qual è la via giusta?
La via giusta è quella dell’umiltà e della fiducia nel Signore; in concreto della preghiera, della rettitudine della vita e dell’accettazione della sofferenza, che ci configura a Gesù Cristo nostro unico salvatore.

Lei apre il libro con «una parola confidenziale » sulla sua vita. Oggi, quando – come scrive – «il pensiero della morte si è fatto esistenzialmente rilevante», qual è la sua speranza?
Spero che il Signore abbia misericordia di me, perdoni i miei tanti peccati e mi accolga nella sua eterna pienezza di vita.

Cosa sente di poter dire a chi sa di essere incamminato verso la morte o a chi vive l’esperienza di un lutto? C’è un dopo e qual è ?
Il dopo è fondamentalmente Dio stesso, il mistero di amore del Padre, del Figlio e dello Spirito. Secondariamente il dopo è la comunione, in Cristo, con i nostri fratelli in umanità. Questo dopo non possiamo pretenderlo, come se fosse un nostro diritto, ma possiamo sperarlo come il più grande dei doni, cercando di vivere già adesso l’unione con il Signore.

3 ottobre 2016