“Rottura” nella Chiesa ortodossa
I membri del Santo Sinodo della Chiesa russa hanno deciso di rompere la «comunione eucaristica» con il Patriarcato ecumenico di Costantinopoli. Il primo atto di uno scisma. Il motivo: l’autocefalia concessa alla Chiesa ucraina
Porta la data di ieri, 15 ottobre, la dichiarazione adottata a Minsk, in Bielorussia, dove i membri del Santo Sinodo della Chiesa ortodossa russa, riuniti sotto la guida del patriarca Kirill, hanno deciso «con nostro grande dolore di rompere la «comunione eucaristica» con il Patriarcato ecumenico di Costantinopoli. Una conseguenza diretta dell’annuncio dell’autocefalia concessa alla Chiesa ortodossa ucraina, l’11 ottobre scorso.
Questa decisione del Patriarcato ecumenico «rende impossibile per noi continuare la permanenza nella comunione eucaristica con i suoi gerarchi, clero e laici», si legge nella dichiarazione di Minsk. Proprio per questo, «d’ora in poi», poiché il Patriarcato di Costantinopoli ha preso «decisioni anti-canoniche», è scritto ancora nel testo, «è impossibile» al clero e ai laici della Chiesa ortodossa russa «partecipare ai sacramenti celebrati nelle sue chiese».
È il primo atto di uno scisma. Lo conferma anche il capo del dipartimento per le relazioni esterne del Patriarcato di Mosca Hilarion di Volokolamsk, asupicando che «il buonsenso vinca e che il Patriarcato di Costantinopoli cambi il suo atteggiamento, riconoscendo la realtà ecclesiastica esistente. Finché però saranno in vigore tutte le decisioni illegittime di Costantinopoli – prosegue -, non saremo in grado di essere in comunione con quella Chiesa».
Nel mondo cattolico, reazione improntate al rispetto, senza nessuna forma di interferenza. Non mancano però stupore e dolore, di cui si fa portavoce il teologo Piero Coda, dal 2005 membro della Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse nel loro insieme. «La ferita che si è palesata oggi nella comunione tra le Chiese ortodosse è una ferita che piaga la nostra carne di discepoli di Gesù, chiamati dalla forza e dall’amore del suo Santo Spirito a essere uno come il Padre e il Figlio sono uno nella comunione infrangibile della Santissima Trinità», afferma. Una piaga che «apre il cuore alla speranza: dove più sperimentiamo la nostra fragilità e la complessità delle situazioni della storia che paiono allontanare e quasi rendere utopico il dono dell’unità, proprio là sovrabbonda la grazia. Questo – conclude – è il tempo della preghiera, dell’attesa, dell’amore».
16 ottobre 2018