Rosy Bindi: la mafia oggi, presenza «silenziosa e “accettata”»

L’ex presidente della Commissione parlamentare antimafia alla scuola di formazione politica del Meic. La risposta: «Un senso di cittadinanza nuovo»

La lotta alla mafia richiede l’impegno e la responsabilità di ognuno, specie «dei buoni cristiani e degli onesti cittadini». Citando san Giovanni Bosco e il suo obiettivo pedagogico, Rosy Bindi ha espresso la convinzione che «per sconfiggere il fenomeno mafioso bisogna creare oggi un senso di cittadinanza nuovo» e «per questo scopo i cattolici dovrebbero essere impegnati in prima linea». Con un intervento limpido nello stile e forte nei contenuti, la presidente della Commissione antimafia della XVII legislatura ha aperto venerdì sera, 11 ottobre, il terzo ciclo della scuola di formazione socio-politica promossa dal Meic (Movimento ecclesiale di impegno culturale). Nella Sala dei Fiorentini di piazza dell’Oro, sede degli appuntamenti mensili promossi dal gruppo romano del movimento ecclesiale  fondato dal futuro Papa Paolo VI nel 1932, Bindi ha sottolineato come «siamo tutti responsabili del diffondersi della mafia anche solo per il fatto di non essere informati e formati a fondo su questa realtà».

A mancare è soprattutto «una preparazione adeguata delle classi dirigenti» e «una informazione capillare a tutti i livelli», perché la forza del fenomeno che «fa della corruzione la sua forza» è «sapersi insinuare nelle attività legali, camuffando la propria azione illegale». È  l’etica, allora, «il primo antidoto significativo contro la penetrazione nella società della mafia»,  che «negli anni si è estesa ben oltre le tre regioni d’origine – Sicilia, Calabria e Puglia -, spostandosi al Centro e al Nord d’Italia e raggiungendo Australia, Spagna e Germania», perché per un tale fenomeno «le origini geografiche e storiche non sono vincolanti». La mafia cioè è sì «un sistema organizzato che risponde ai canoni della “casa madre”» ma «con un’autonomia che le consente di adattarsi alle diverse esigenze territoriali», ha fatto notare la politica.

Ancora, «non c’è ambito che possa rimanerne escluso» e in ciascun settore – da quello politico a quello delle imprese fino a quello dello sport – «la mafia tende a nascondersi per farsi accettare – ha aggiunto -, perché nel momento in cui viene riconosciuta viene combattuta e perde così la sua identità e la sua efficacia». Non è infatti più la violenza il modus operandi dei mafiosi, ha spiegato Bindi, ma «la corruzione e la collusione»: un modus operandi favorito dalla «straordinaria capacità di creare complicità» e garantito «dalle relazioni politiche ed economiche». Se la mafia oggi «non ha più bisogno di minacciare – ha chiosato ancora – è perché trova una certa disponibilità a piegarsi, specie nelle classi dirigenti», sicché «le vere vittime dei mafiosi oggi sono i loro complici».

Laddove «corruttore e corrotto sono legati da un patto segreto», vige un clima di «omertà da complicità» che «è ben più difficile da scalfire rispetto all’omertà da violenza – ha evidenziato Bindi -: la mafia delle grandi stragi è stata sconfitta perché si è manifestata e ha prodotto una grande reazione nella popolazione» mentre «la pericolosità della mafia allo stato attuale è nel suo essere una presenza silenziosa e in qualche modo accettata, della quale sembra di non poter fare a meno». Ecco dunque il monito conclusivo di Bindi: «Occorre formare la coscienza civica di ognuno, specie dei giovani, perché la lotta alla mafia non la devono fare solo gli eroi».

14 ottobre 2019