Rosario Livatino e la capacità di «dare un’anima alla legge»

A due anni dalla beatificazione, l’incontro, a Sant’Antonio in via Salaria, con il sostituto procuratore Minisci e Mazzei, ex presidente della I sezione penale della Cassazione

Giustizia e fede. Sono i pesi che equiparavano i piatti della bilancia morale e professionale di Rosario Livatino, il giudice siciliano ammazzato dalla Stidda nel 1990. Un «martire della giustizia e della fede», ha detto di lui Papa Francesco in occasione della beatificazione – il 9 maggio 2021 – del magistrato simbolo di una delle stagioni più buie del Paese. Giorni, mesi, anni che incisero profondamente nella vita degli italiani. Tra loro c’erano giovani universitari come l’attuale sostituto procuratore di Roma Francesco Minisci e neo magistrati come Antonella Mazzei, ex presidente della prima sezione penale della Corte di Cassazione. Sono loro, a due anni dalla beatificazione di Livatino, a tracciare i tratti di una personalità che fece dell’umanità il senso più profondo del mestiere.

«Vicende come quella di Livatino ci hanno fatto capire che volevamo stare dalla parte dello Stato, dalla parte del giusto», ha raccontato Minisci durante un confronto, domenica 11 giugno, nella parrocchia di Sant’Antonio, in via Salaria, organizzato dall’Azione cattolica parrocchiale. Le navate sono occupate da uomini e donne pronti ad ascoltare. Su una parete, invece, una linea del tempo ricostruisce le tappe della vita professionale e spirituale di Livatino. Fuori sta per piovere quando dalle parole di Minisci riaffiorano i ricordi universitari: la sensazione di essere chiamati a far luce, anzi giustizia, in meandri della società dove lo Stato non era più in grado di arrivare.

«La morte di Livatino mi interrogò come giudice, come cittadina e come cristiana», ha detto Mazzei. Nel 1990, anno dell’omicidio del magistrato siciliano, l’ex presidente della prima sezione penale della Corte di Cassazione lavorava a Reggio Emilia. Era l’inizio di una carriera che presto divenne una missione. «Avvertivo il bisogno di prestare il mio servizio nel sud Italia», ricorda Mazzei. E così fu. La neo magistrata venne trasferita in Calabria: «Accettai, vivendo un’esperienza professionale intensissima». Avrebbe voluto ringraziare i genitori di Rosario Livatino, ma non ci riuscì.

Tutt’ora deve molto al magistrato per cui anche Papa Giovanni Paolo II spese parole di giustizia. «Mi rivolgo ai responsabili: convertitevi! Un giorno verrà il giudizio di Dio!», disse il pontefice dopo un incontro con la madre e il padre del giudice la cui memoria viene celebrata il 29 ottobre. È il giorno in cui Livatino ricevette il sacramento della cresima. Una data simbolo nella storia di un protagonista della vita civile e religiosa dei nostri tempi. «Livatino aveva messo il suo modo di pensare sotto la tutela di Dio e questo lo sottraeva da qualsiasi interferenza», il ritratto tracciato da Antonella Mazzei. È la sintesi di un profilo la cui complessità restituisce spessore e completezza. Da un lato l’uomo e la fede vissuta in intimità, al massimo appuntata sui suoi taccuini. “Quando moriremo nessuno ci verrà a chiedere quanto siamo stati credenti, ma credibili”, scrisse Livatino su una delle sue agende. Dall’altro un magistrato umano e giusto.

«Il magistrato deve essere giusto, non buono», osserva Minisci: «Non bisogna confondere i due piani – aggiunge -. Bisogna trattare tutti allo stesso modo, ma con approccio umano». Il riferimento è al senso della giustizia e alla sua applicazione terrena. «Persino nel Vangelo c’è una doppia logica di giustizia – spiega Mazzei -: una retributiva, in cui la risposta è proporzionata all’azione commessa, e l’altra che è un’apertura alla misericordia e al perdono». Un equilibrio incarnato da Rosario Livatino: «Era capace di dare un’anima alle legge, di applicarla contemplando l’uomo che ne era destinatario», le parole dell’ex presidente della prima sezione penale della Corte di Cassazione.

Fuori, la pioggia batte insistente mentre all’interno della chiesa di Sant’Antonio poche decine di persone raccolgono l’invito del sostituto procuratore di Roma Francesco Minisci. «I nostri ragazzi hanno bisogno di miti, ma dobbiamo fare in modo che quei miti siamo noi». Il suo è un appello a costruire un puzzle sociale in cui ognuno è un tassello indispensabile alla crescita collettiva. «L’Azione cattolica potrebbe rappresentare un percorso di formazione delle coscienze dei più giovani», immagina Minisci pensando all’esperienza di associazionismo che ha caratterizzato la formazione di Livatino. Un «percorso di cultura dei valori» che restituisca anche oggi un eroe a cui ispirarsi.

12 giugno 2023