“Romero”, musical a San Giustino. Protagonisti i salvadoregni

La storia dell’arcivescovo martire in uno spettacolo andato in scena per tre serate nella parrocchia San Giustino, nato dai racconti dei suoi connazionali

La storia dell’arcivescovo martire in uno spettacolo andato in scena per tre serate nella parrocchia San Giustino, nato dai racconti dei suoi connazionali

C’è un gruppo di ragazzi dalle più svariate origini che decide di partire insieme al giovane Oscar alla ricerca delle storie dei suoi familiari, uccisi anni addietro durante la guerra civile, e alcune signore latino-americane che ballano vestite a festa, che hanno vissuto gli anni della guerra civile. All’improvviso cala il silenzio, e la scena viene conquistata da una donna con gli occhi sbarrati: «Nel 1980 hanno ammazzato Oscar Romero. Al suo funerale la piazza era piena, e uscita dalla cattedrale vidi solo corpi per terra. Fu l’inizio della guerra civile, combattuta tra chi subiva e chi deteneva il potere. Se mai andrete in quei luoghi ascoltate i racconti di chi lo ha conosciuto, perché solo così riuscirete ad incontrarlo».

C’è dunque tutta la passione, e il dolore, di una vicenda bruciante come quella del martirio di Oscar Romero – arcivescovo di San Salvador beatificato nel 2015, ucciso in odio alla fede mentre celebrava la Messa il 24 marzo 1980 – nello spettacolo “Romero: il Musical” realizzato dalle Compagnie riunite del Teatro San Giustino e andato in scena nelle serate del 3, 4 e 5 giugno nella parrocchia di San Giustino Martire, all’Alessandrino.

È la storia, narrata in musica, «di un viaggio che incontra Romero attraverso i racconti delle persone», con la forza di un’idea centrale: voler rappresentare fedelmente un uomo di Chiesa che, afferma don Luca Pandolfi, docente universitario, cappellano della comunità salvadoregna a Roma e ideatore del soggetto teatrale, «è diventato tale incontrando la gente ed è stato convertito dallo stesso popolo, viaggiando in El Salvador». Questi ingredienti hanno portato alla realizzazione di un lavoro dove, prosegue Pandolfi, «l’esperienza fondamentale è quella di un incontro». Come spiega anche la regista Valentina Cognatti, «l’idea del viaggio, del conoscere, e la storia di Romero sono due piani che si sovrappongono nell’ambito di una scoperta».

L’opera nasce dai racconti dei membri della comunità salvadoregna, molti dei quali, racconta don Luca, «sono andati via dal loro Paese nel periodo della guerra tra l’80 e il ’92 e subito dopo». È stata realizzata grazie al sostegno del Centro missionario della diocesi di Roma e di quello di Bergamo, della Fondazione Migrantes, della Sal onlus e della BCC di Roma. Oltre che della parrocchia e del suo parroco don Stefano Bonazzi, che sottolinea come «Romero faceva parte del suo popolo, perciò non ha taciuto e ha dato la sua vita al Signore».

È pertanto il tema del viaggio a far coincidere la sofferenza della guerra con la gioia di un popolo vivo, come si evince dalle parole di Nimia Aguilar, che ha partecipato alla rappresentazione e che la figura di don Romero l’ha conosciuta in El Salvador: «La notizia della morte si diffuse subito in tutte le parrocchie facendoci provare grande dolore – ricorda -, perché lo amavamo tanto. Era un padre e un fratello, e nel musical abbiamo rivissuto gli stessi sentimenti». Sua figlia, Ana Ruth Almendares, mentre stringe la mano del piccolo Matheo, cita le parole di Romero riproposte dagli attori: «Se mi uccideranno, io resusciterò nel mio popolo». Ana è giovane ma la guerra l’ha vissuta comunque, e non dimentica che «oggi c’è ancora per mezzo delle bande criminali. La speranza è che la fede che Romero ci ha donato realizzi il miracolo della pace».

Anche gli ambasciatori di El Salvador presso la Santa Sede, Manuel Lopez, e in Italia, Alessandra Alas, al termine della serata ammettono di aver vissuto «uno spettacolo del cuore». Perché, spiega monsignor Pierpaolo Felicolo, direttore dell’Ufficio diocesano per la pastorale delle migrazioni, presente tra il pubblico, «grazie a questi momenti possiamo ritrovarci insieme e far incontrare le culture, facendo parlare esperienze distanti, raccontandole dall’interno e rendendole vicine a noi occidentali. E soprattutto è possibile far conoscere, con gli occhi dei suoi connazionali, una figura fondamentale come quella di Romero». (Francesco Gnagni)

6 giugno 2016