Roma ricorda Nino Manfredi Mostra a Palazzo Braschi

Dal 13 novembre al 6 gennaio l’esposizione  fotografica e multimediale curata da Camilla Benvenuti e dalla nipote dell’attore, Sarah Masten, lungo 10 sale. Documentari e una canzone inedita registrata pochi anni prima della morte

 

Si chiama “Nino!” il progetto che racchiude tutte le iniziative per ricordare la vita privata ed artistica di Nino Manfredi  in occasione del decennale della sua scomparsa, avvenuta il 4 giugno 2004.  Dopo la tappa a Los Angeles, nell’ambito delle iniziative culturali degli Academy of Motion Picture Arts & Sciences, ovvero gli Oscar, e dopo il  concerto jazz del Maestro Roberto Gatto presso l’Auditorium Conciliazione di Roma  e la proiezione al festival di Venezia della copia restaurata  di “L’avventura di un soldato”, continuano gli omaggi con la mostra, anch’essa intitolata “Nino!”,  ospitata al Museo Palazzo Braschi di Roma dal 13 novembre al 6 gennaio 2015.

Promossa, tra gli altri,  da Roma Capitale e sostenuta dalla famiglia Manfredi, l’esposizione  fotografica e multimediale – curata da Camilla Benvenuti e dalla nipote dell’attore, Sarah Masten – si snoda lungo 10 sale, ognuna delle quali racconterà una delle tante sfaccettature dell’attore grazie anche alle testimonianze di personaggi del mondo della cultura e dello spettacolo come Enrico Brignano, Ornella Vanoni, Alessandro Benvenuti e Lina Wertmuller. Sarà anche possibile assistere a  documentari inediti come “80 anni d’attore” realizzato dal figlio Luca, e ammirare oltre 100 stampe fotografiche e tre ricostruzioni scenografiche. Infine, si potrà ascoltare una canzone anch’essa inedita – “Non lasciare Roma” – registrata da Nino pochi anni prima di morire e per la cui realizzazione il produttore Claudio Zitti ha coinvolto circa 70 musicisti. Gli incassi derivati dalla vendita del CD e dei “Downloads” saranno devoluti all’Associazione “Viva la vita”, presieduta dalla moglie di Manfredi, Erminia, che da anni aiuta i malati di Sclerosi laterale amiotrofica.

Nato nel 1921 a Castro dei Volsci, nella Ciociaria, Manfredi durante l’infanzia conosce la povertà e poi la malattia. Prima lo colpisce una grave forma di enterocolite, poi la difterite. Ma soprattutto fu la tubercolosi a inchiodarlo dai 15 ai 18 anni al sanatorio Forlanini di Roma, dove sarà dimesso dai medici con una prognosi infausta. Ma a dispetto di tutto, lui sopravviverà e sarà l’unico del suo reparto. I genitori non lo volevano “saltimbanco” di teatro e allora dovette laurearsi in giurisprudenza con una tesi in diritto penale mai discussa in sede d’esame perché, così giurò alla commissione che aspettava di ascoltarlo, lui l’avvocato non lo avrebbe mai fatto.

Attore dai mille volti che affrontava con precisione chirurgica ogni sua interpretazione: fu studioso di Chaplin ed è così che imparò ad esprimersi con sguardo e gesti minimi. Chiamandolo ad interpretare “Pinocchio”, Comencini gli disse: «Manfredi, lei è l’unico che può parlare con un pezzo di legno». Ineguagliabile nel “Rugantino” del ’62, così come in “Pane e cioccolata” di Franco Brusati, in “Brutti sporchi e cattivi” di Scola o ne “L’avventura di un soldato” (sua la regia), i personaggi che portava in scena erano in prevalenza umili, mai completamente cattivi, ricchi invece di una profonda dignità che, alla fine, sempre li riscatta.

Era facile riconoscersi in lui: nei gesti, nella voce, nell’uso brillante del dialetto, nella malinconia che si percepiva dietro la sua maschera intensa, nell’umorismo amaro di chi della vita ha visto ogni sfaccettatura, anche la più crudele e dolorosa. Gli occhi del suo Geppetto, padre pervaso da un amore struggente per il figlio ribelle, hanno commosso intere generazioni e restano l’emblema della speranza di Nino: che il mondo, nonostante tutto, possa essere migliore.

12 novembre 2014