Riscoprire la passione vitale di Foscolo

Nel libro a cura di Donatella Martinelli, i capolavori maggiori del poeta nato a Zante nel 1778 e morto esule a Londra nel 1827. Un approccio alla sua forza incommensurabile

A volte penso che se non ci fosse la scuola, molti nostri scrittori finirebbero nell’oblio: chi leggerebbe più, ad esempio, Ugo Foscolo? Eppure si tratta del fondamento della letteratura italiana, la cui lingua classica risulta oggi assai distante dalla sensibilità comune degli adolescenti. Ecco perché un libriccino come Sepolcri, Odi, Sonetti, a cura di Donatella Martinelli, che riunisce in poche pagine i capolavori maggiori del grande poeta di madre greca e padre veneziano, nato a Zante nel 1778 e morto esule a Londra nel 1827, disponibile negli Oscar Mondadori a soli dieci euro, è quasi commovente.

Se trovassimo un ragazzo propenso alla lettura, rigorosamente in forma cartacea, sarebbe un’occasione imperdibile per cominciare a fargli apprezzare la forza incommensurabile di questo nostro grande classico: uomo di pensiero e d’azione al tempo stesso, primo romanziere italiano epistolare moderno (Le ultime lettere di Jacopo Ortis), nonché punto di sutura fra la cultura illuminista e quella neoclassica, col brivido romantico sempre pronto a esplodere. Dovremmo cominciare ad avvicinare il nostro scolaro innanzitutto alle due Odi: A Luigia Pallavicini caduta da cavallo e All’amica risanata. Non sarebbe facile perché dovremmo superare l’ostacolo linguistico, quasi traducendo il testo per renderlo comprensibile, e poi decodificare la fitta trama mitologica in cui è tessuto: ma è quanto fanno, o dovrebbero fare, gli insegnanti di lettere ogni giorno.

Più semplice sarebbe il confronto coi Sonetti, icastici e solenni nella loro profonda resa espressiva, specie pensando ai risultati migliori, per questo da sempre amati dai giovani: Alla sera, suprema riflessione sulla finitudine («Forse perché della fatal quiete / tu sei l’immago a me sì cara vieni»), A Zacinto, prezioso omaggio alla patria perduta, In morte del fratello Giovanni, il canto della fraternità ferita. Alla fine andrebbe letto il capolavoro assoluto: I sepolcri (1806), nato da uno spunto immediato come l’editto napoleonico di Saint Cloud che imponeva per motivi igienici lo spostamento al di fuori delle aree urbane delle tombe le quali, tranne rari casi, avrebbero dovuto essere tutte uguali. Disposizione contestata dal poeta nel segno di un’insopprimibile passione vitale. Dove i molteplici fili dell’ispirazione
foscoliana, dalla concezione lucreziana dei flussi magmatici al sogno impavido della bellezza eternatrice, dall’alta idea della civiltà delle lettere alla dolorosa consapevolezza di vanità delle azioni umane, si legano in un tutto unico, a sentenziare, nella mirabile soluzione stilistica dell’endecasillabo sciolto, l’ineludibile necessità di dare nomi ai sassi per conservare nella memoria di chi resta il ricordo di chi non c’è più: «Celeste è questa / corrispondenza d’amorosi sensi, / celeste dote è negli umani; e spesso / per lei si vive con l’amico estinto / e l’estinto con noi…”».

12 aprile 2021