Riprendono le condanne a morte in Myanmar
Giustiziati quattro attivisti politici. Metsola (Ue): «La pena capitale è disumana e dovrebbe essere abolita in tutto il mondo». Amnesty: «Ulteriore aumento della repressione di Stato»
Phyo Zeya Thaw, ex parlamentare ed membro della Lega nazionale per la democrazia di Aung San Suu Kyi, 41 anni, e il noto attivista per la democrazia Kyaw Min Yu, conosciuto anche come Ko Jimmy, 53 anni, condannati a morte da un tribunale militare a gennaio per reati riguardanti esplosivi, attentati e finanziamento del terrorismo ai sensi della legge antiterrorismo. E con loro Hla Myo Aung e Aung Thura Zaw, condannati per il presunto omicidio di una donna ritenuta informatrice delle forze armate a Hlaing Tharyar a Yangon. Sono i quattro attivisti politici giustiziati il 24 luglio in Myanmar: le prime esecuzioni dalla fine degli anni ’80, di cui ha dato notizia l’organo di stampa statale Global New Light.
Il relatore speciale Onu sulla situazione dei diritti umani in Myanmar, Tom Andrews, ha condannato le esecuzioni di questi «patrioti e campioni di diritti umani e democrazia». Queste persone, ha riferito, «sono state processate e condannate da un tribunale militare senza diritto di appello e, secondo quanto riferito, senza l’assistenza di un avvocato, in violazione del diritto internazionale sui diritti umani. Questi atti depravati devono essere un punto di svolta per la comunità internazionale: che altro deve fare la giunta affinché la comunità internazionale decida di prendere una forte iniziativa?».
Fonti di stampa internazionali riferiscono che i quattro sono stati impiccati. «Inorridisco per l’esecuzione di attivisti pro-democrazia, tra cui un ex deputato, da parte della giunta birmana – è il commento della presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola -. Condanno con la massima fermezza questa oltraggiosa violazione dei diritti umani. La pena capitale è disumana e dovrebbe essere abolita in tutto il mondo». Parole di condanna per una «punizione ingiusta, disumana e inefficace» arrivano anche dal ministero degli Esteri francese, che si unisce all’appello «per il rilascio di tutti coloro che sono stati arbitrariamente detenuti dal 1° febbraio 2021», chiedendo che «si ponga fine alle violenze perpetrate dal regime militare birmano e si instauri un processo di dialogo che includa tutte le parti interessate. Il sostegno della Francia al popolo birmano, di cui saluta il coraggio, rimane immutato», si legge nel comunicato diffuso.
Immediata anche la reazione di Erwin van der Borght, direttore regionale di Amnesty International, secondo cui «queste esecuzioni, che equivalgono a una privazione arbitraria della vita, sono un ulteriore esempio dell’atroce situazione dei diritti umani in Myanmar. I quattro uomini – aggiunge – erano stati condannati da un tribunale militare in seguito a processi segreti e profondamente iniqui. Si ritiene che più di 100 persone si trovino nel braccio della morte dopo condanne emesse in procedimenti simili, e per questo la comunità internazionale deve agire immediatamente». Anche perché, riferisce, «ormai da più di un anno le autorità militari di Myanmar portano avanti esecuzioni extragiudiziali, torture e tutta una serie di violazioni dei diritti umani. I militari continueranno a schiacciare la vita delle persone, se non saranno chiamati a rispondere delle proprie azioni – asserisce Van der Borght -. In un momento in cui sono sempre di più i Paesi che adottano misure per abolire la pena di morte, la ripresa alle esecuzioni dopo più di tre decenni non solo è in contrasto con la tendenza globale ma è anche contraria all’obiettivo dell’abolizione sancito dal diritto e dagli standard internazionali dei diritti umani. L’isolamento di Myanmar non potrebbe essere più evidente – è la conclusione -. Esortiamo le autorità a stabilire immediatamente una moratoria sulle esecuzioni come primo cruciale passo».
Dall’organizzazione internazionale ricordano che «in seguito all’istituzione della legge marziale all’inizio del 2021, l’autorità di processare i civili è stata trasferita a tribunali militari speciali o a quelli già esistenti, nei quali le persone vengono processate attraverso procedimenti sommari che non prevedono il diritto di appello. Questi tribunali – rilevano – sovraintendono a un’ampia gamma di reati compresi quelli punibili con la pena di morte».
26 luglio 2022