«Riflettere sulla qualità della crescita economica»

Incontro alla Lateranense. Baretta, sottosegretario all’Economia: no al rigore Ue. «Sobrietà e meno sprechi». Orlandi: tasse mal tollerate

Tavola rotonda alla Lateranense. Baretta, sottosegretario all’Economia: no al rigore Ue. «Servono sobrietà e meno sprechi». Orlandi: tasse mal tollerate

«Qui è in gioco il senso stesso della vita». Il vescovo Enrico dal Covolo, rettore dell’Università Lateranense, introduce così la tavola rotonda «Una nuova economia per un nuovo umanesimo», organizzata dall’ateneo in occasione della presentazione, il 17 marzo, del libro “Teologia morale economica” (Queriniana) di Gianni Manzone, docente di Dottrina sociale della Chiesa ed Etica sociale, nonché consultore del Pontificio Consiglio giustizia e pace. «Quella oggi imperante è un’economia fatta di iniziative produttive che tendono a creare bisogni artificiali, staccati dai valori umani». Il vescovo cita l’ultimo Rapporto mondiale sulla felicità, da cui emerge che in Danimarca si starebbe meglio che altrove. «Nessuno lo dice – spiega, criticando la classifica – ma il suicidio è la prima causa di morte tra gli adolescenti nell’Europa del Nord. Ragazzi lasciati senza domande e senza risposte». Da qui la necessità, spiega Arnaldo Acquarelli, presidente Fondazione etica ed economia, di «formare già nei bambini e dunque nei giovani «una coscienza che si indigni davanti al malaffare».

Le attività economiche non incrociano più le esigenze più intime e vere dell’essere umano. E invece, sottolinea Domenico Santangelo, dell’Ufficio Cei per i problemi sociali, l’economia e l’etica «dovrebbero incontrarsi in una radicale convergenza perché entrambe mirano al bene». Se questo è, «quale contributo dà l’economia?», si chiede Manzone. «Di fronte a enormi compiti, come la difesa dell’ambiente, la lotta contro la povertà, il mantenimento della pace, il benessere delle future generazioni, diventa più urgente sapere ciò che l’economia può provvedere, e quando e fino a dove può fallire». «Quando nel 2008 la crisi è scoppiata – racconta Pierpaolo Baretta, sottosegretario al ministero dell’Economia – tutti hanno detto che ne saremmo usciti “diversi”. Io spero significasse “migliori”. Per questo dovremmo approfittare di questa fase, che è ancora di transizione, per riflettere sulla qualità della crescita che vogliamo. Innanzitutto bisogna chiarirci sulla differenza che corre tra il concetto di rigore e quello di austerity. Perché se significano gestione bilancistica, come chiede l’Europa, è evidente che non porta benefici. Come è però altrettanto vero che occorre sobrietà in un Paese in cui si spreca talmente tanto, dicono le statistiche, che ciascun italiano butta al secchio, ogni anno, 100 chili di alimenti».

L’altra considerazione ha a che fare con il welfare: «Siamo il secondo Paese al mondo con l’attesa di vita più alta – incalza Baretta – e uno con i tassi di natalità più bassi. È evidente che con l’invecchiamento della popolazione lo Stato non ce la fa a mantenere un buon livello di servizi sociali e sanitari». In gioco deve però entrare anche la politica fiscale: a sostenerlo è Rossella Orlandi, direttore generale Agenzia delle entrate. «È vero che in Italia, storicamente a ragione, le tasse sono considerate un mal tollerato obbligo di legge ma il fisco è legato al concetto stesso di società che vogliamo, perché attraverso di esso si redistribuisce ciò che viene prodotto», spiega. «In una realtà segnata dall’individualismo – prosegue -, l’idea che ciò che ciascuno guadagna e produce vada ai più deboli e fragili è mal accettata».

18 marzo 2016