“Rifkin’s Festival”: nelle sale il nuovo Allen

La pellicola numero 49 del regista newyorkese approda nei cinema. E dà appuntamento al prossimo titolo, perché la vita è imprevedibile e il cinema ne può catturare un brandello

Il numero è ormai importante e il bello è che non ci si annoia mai. Anche il Covid-19 ha provato ad interrompere la sequenza. Eppure anche stavolta, quando sembrava che le circostanze volgessero al peggio, Woody Allen, 85 anni, ha licenziato il suo film n° 49 scelto anche in Italia per festeggiare la riapertura delle sale cinematografiche. Rifkin’s Festival è il titolo di questa nuova fatica del regista newyorchese, iniziata nel lontano 1966 con Che fai rubi? e col successivo Prendi i soldi e scappa (1969), col quale comincia per convenzione la filmografia del nostro autore. In effetti la definizione di “fatica” sembra quasi fuori luogo, se guardiamo alla freschezza, all’agilità, alla leggiadria (si direbbe) che Allen è ancora in grado di imprimere alle sue storie. Qui Mort Rifkin è nei panni dell’io narrante (Allen stesso), un alter ego maturo e disincantato, colto nel momento in cui arriva in Spagna, a San Sebastian, con l’incarico di accompagnare la moglie Sue, che al locale Festival del cinema deve gestire la quotidiana attività stampa di alcuni nomi importanti presenti alla rassegna.

Questa è in realtà la conclusione della vicenda, che Mort racconta al suo analista al ritorno dalla trasferta spagnola e che quindi riviviamo in flashback. Povero Mort, lui, persona pacata e tranquilla, sa bene che ha affrontato quel viaggio per verificare i dubbi sulla fedeltà della moglie, attratta in modo fin troppo palese da un suo cliente, il giovane regista francese Philippe, pieno di sé ma in realtà pallida copia della Nouvelle Vague. Dopo alcuni insopportabili pranzi, Mort non si sente bene, inscena un malore ed entra in casuale contatto con la dottoressa Rojas, della quale presto si infatua. Con lei riscopre momenti dimenticati e rivive nel sogno quelle sequenze che hanno reso il cinema immortale: i film di Fellini, Godard, Truffaut, Lelouch, Bergman. Mort infatti, professore universitario in pensione, ha per il cinema europeo una passione sviscerata al punto da avvertire sulla pelle le ferite dei brutti film e di sentirsi male non appena ha lasciato New York. Come spesso in Woody Allen, le malattie che lo colpiscono sono del tutto immaginarie, frutto di fantasie che vagano tra sogno e realtà.

Se il finale fa tornare la storia al punto di partenza (nello studio dell’analista), l’ultima domanda che Mort fa a noi spettatori ha già una risposta incorporata: quella di darci appuntamento per un prossimo titolo. Perché la vita è imprevedibile e sfuggente e il cinema ne può catturare un brandello di verità, può anche darci accorata tristezza e gioia piena, può farci fare domande sulla nostra esistenza e aiutarci a riderne con intelligenza.

24 maggio 2021