Il ricordo di don Puglisi, «santo del sorriso»
Messa nella chiesa di Santa Maria Odigitria dei Siciliani con il vescovo Gianrico Ruzza, il 21 ottobre, memoria liturgia del primo martire di mafia, ucciso nel 1993. Il libro di Francesco Deliziosi
«Se ognuno fa qualcosa, allora si può fare molto», diceva il prete del sorriso, con le scarpe grandi, per camminare anche per le vie più nascoste e buie di Palermo e del mondo, e orecchie grandi, per ascoltare tutti; don Pino Puglisi, il primo martire di mafia, ucciso il 15 settembre 1993, nel giorno del suo 56simo compleanno, è stato proclamato beato il 25 maggio 2013. Sabato 21 ottobre, alle 18.30, presso l’Arciconfraternita Santa Maria Odigitria dei Siciliani (in via del Tritone), si celebrerà la sua memoria liturgica, con la Messa presieduta da monsignor Gianrico Ruzza, vescovo ausiliare per il settore Centro, e un concerto del coro Aramus, diretto dal maestro Osvaldo Guidotti.
Nella Basilica di San Bartolomeo all’Isola Tiberina, memoriale dei martiri del XX e XXI secolo, nella Capitale, è custodita la stola del sacerdote palermitano. “Pino Puglisi, il prete che fece tremare la Mafia con un sorriso”, è il titolo del libro con cui lo ha ricordato Francesco Deliziosi, caporedattore del “Giornale di Sicilia”, che con lui ha avuto una rapporto spirituale e di amicizia intenso. Tra l’altro, ha collaborato alla sceneggiatura del film di Roberto Faenza “Alla luce del sole” e con il poeta Mario Luzi per il testo teatrale “Il fiore del dolore”. Ha fatto parte della commissione diocesana per l’istruzione della causa di beatificazione con il postulatore, monsignor Vincenzo Bertolone. Don Pino Puglisi è stato il padre spirituale di Francesco Deliziosi e della moglie, di cui ha benedetto il matrimonio. Lo hanno seguito fino all’ultimo, nella parrocchia del quartiere Brancaccio, tra i più degradati di Palermo, controllati dalla criminalità organizzata.
Se per ogni santo si cerca un appellativo, per don Pino Puglisi, Deliziosi ne suggerisce almeno due: il santo del sorriso e il santo dei ragazzi. Perché, se «il sorriso era un aspetto peculiare, in lui, anche durante l’uccisione e dopo la morte», afferma,«la sua prerogativa era la pastorale giovanile».
Sorrise ai suoi assassini, Salvatore Grigoli e Gaspare Spatuzza, dicendo «me lo aspettavo», quando gli tesero l’agguato davanti casa. Il suo volto si ricompose in un sorriso, dopo l’autopsia, e fu seppellito sorridente. I due assassini si convertirono proprio pensando a quel volto illuminato da un segno d’amore. Con il corpo deposto per l’ultimo saluto dei fedeli, nella Cattedrale del capoluogo siciliano, dove è sepolto, si notavano le sue scarpe rotte, nonostante il padre fosse stato un calzolaio e gli avesse lasciato gli attrezzi del mestiere. Era «un sacerdote che consumava la suola delle scarpe», ricorda Deliziosi.
Don Pino Puglisi è il santo dell’Allegria, della gioia dell’amore di Dio, che si vive e testimonia concretamente. «Non puoi dire: “Dio ti ama” a chi non ha da mangiare». E quindi, «era poverissimo, per scelta. Quello che guadagnava come insegnante lo donava in opere di carità e per servizi di accoglienza per i giovani, come il Centro “Padre Nostro”». Era il servo di «una Chiesa povera per i poveri», come la vorrebbe Papa Francesco. «Un “ospedale da campo” per i figli di Dio impegnati nella lotta dell’esistenza».
La sua pastorale del sorriso ha infastidito i boss mafiosi, perché toglieva acqua alle loro fonti di morte. Capirono subito con chi avevano a che fare, quando fu nominato parroco a San Gaetano, nel 1990. Il suo eroismo di fede in «un Vangelo che non è un libro in tasca o da leggere in chiesa» si espresse in tante piccole azioni del quotidiano, semplici eppure straordinarie. Come cambiare il percorso di una processione religiosa in modo che non stazionasse davanti alla casa della famiglia mafiosa potente nel quartiere. «Decise di variare il tragitto senza preavvertire nessuno, per passare nei vicoli, dove viveva la povera gente, invece che nella via principale», ricorda Deliziosi. Non era mai successo prima, e solo dopo, per la Grazia di Dio, accade sempre più frequentemente, nei paesi del Sud. «Diceva che le processioni servono a portare Cristo davanti ai poveri e non a fare inchini ai potenti».
«Don Pino tronca con tutto ciò che può generare equivoci su una Chiesa collusa con il potere», afferma il giornalista. «La parrocchia non è una gran cassa elettorale», dichiarava. Aveva organizzato un comitato intercondominiale di cittadini per portare avanti battaglie di civiltà e di dignità umana, come chiedere una scuola media. E aveva dovuto aspettare sei mesi per un appuntamento con il prefetto. «Questo suo modo coraggioso e coerente di agire contrastava con abitudini di tipo feudale, per cui, per ottenere un servizio legittimo bisognava rivolgersi al boss locale chiedendo un favore». Insieme al comitato civico che aveva creato, il sacerdote dalle orecchie e dalle scarpe grandi si rivolgeva direttamente alle autorità istituzionali per chiedere la tutela dei diritti. Per questo motivo aveva ricevuto molte minacce e atti intimidatori, come l’incendio appiccato alla porta di casa di tre volontari in una notte del mese di giugno 1993.
Fu nel commentare questo episodio che tenne l’omelia che lo condannò a morte, nel mese di luglio 1993, la domenica in cui si commemorava il primo anniversario della strage di via D’Amelio, in cui fu ucciso il giudice Paolo Borsellino con cinque agenti di scorta. «Coloro che usano la violenza si degradano da soli ad animali», gridò dal pulpito. «Uomini che pretendevano di essere detti “d’onore”, non accettarono questa “offesa”».
Il “prete del sorriso” è la prima vittima di mafia ad essere chiamato martire. La Chiesa ha riconosciuto che è stato ucciso in quanto testimone della fede in Cristo. «Da un punto di vista dottrinale-teologico, questo mette in chiaro alcuni aspetti fondamentali, che sono provati nella postulazione», afferma Deliziosi. «I mafiosi, benché battezzati, non sono cristiani. Come ha dichiarato Papa Francesco nel 2014 in Calabria, i mafiosi sono scomunicati, fuori dalla Chiesa cattolica». L’acquisizione di questa consapevolezza, da parte di prelati e pastori, per il giornalista, è un «effetto don Puglisi».
16 ottobre 2017