Richard Ford, la maschera della solitudine

Lo si può definire il poeta dei tempi morti. Si esalta nelle descrizioni paesaggistiche, fino a creare città artificiali più autentiche di quelle vere

Lo si può definire il poeta dei tempi morti. Si esalta nelle descrizioni paesaggistiche, fino a creare città artificiali più autentiche di quelle vere

Ogni cosa sembra crollare, fuori e dentro di noi, nell’ultimo romanzo di Richard Ford, uno dei più importanti scrittori della letteratura americana di oggi. Il titolo di quest’opera, divisa in quattro novelle legate fra di loro, Tutto potrebbe andare molto peggio (Feltrinelli, pp. 215, 17 euro), allude comunque a un fatalismo esistenziale degno di rilievo. Come dire: non illudiamoci di poterci contrapporre a mani nude agli ostacoli che la vita ci pone. Meglio provare a superarli senza pretendere di risolverli, trovando una posizione elastica di fronte alle inevitabili asperità.

È quanto cerca di fare, con risultati alterni, Frank Bascombe, ex giornalista sportivo e agente immobiliare, già al centro di una notevole trilogia narrativa (Sportswriters, 1992, Il giorno del’Indipendenza, 1996, e Lo stato delle cose, 2006). E così, nei giorni freddi che precedono il Natale, l’uomo si aggira svagato e non più attivo, a 68 anni, da una periferia all’altra del New Jersey, qualche tempo dopo le distruzioni provocate dall’uragano Sandy, fra villette appena rimesse in sesto, nuovi centri commerciali e vecchi luna park, con due matrimoni alle spalle, i figli che non si fanno mai vivi, il peso del passato che incombe.

Nel testo d’apertura si reca con apprensione all’appuntamento con il proprietario di uno stabile che lui stesso aveva venduto. La costruzione non aveva retto l’urto della tempesta oceanica. Nel secondo brano, di gran lunga il più intenso dei quattro, il protagonista riceve in salotto la signora Pines. La donna, dopo aver rivisto la stanza in cui aveva abitato da bambina, gli confida la tragedia che, tanti anni prima, si era consumata fra quelle mura. Nel terzo racconto Frank ascolta le lamentele, ovviamente sconnesse, della prima moglie malata di Parkinson.

Il libro si conclude con la visita a un vecchio amico che sta per morire. Ford ha una vena lirica di squisita fattura che lo spinge a rovistare negli anfratti più nascosti della natura umana. Si trova a proprio agio quando deve rievocare le assenze e celebrare gli scacchi, quasi fosse un sovrano dell’emozione interiore. Non sbaglierebbe chi lo considerasse un poeta dei tempi morti. Si esalta nelle descrizioni paesaggistiche, fino a creare città artificiali, come Haddam, ad esempio, che sembrano più autentiche di quelle vere. È stato uno dei migliori narratori dell’adolescenza triste e sconsolata: basti pensare ai racconti che lo hanno reso celebre, compresi in Rock Springs (1989), al romanzo Incendi (1991) e soprattutto al capolavoro Canada (2013), uno dei vertici della letteratura contemporanea.

Nei suoi libri più recenti egli sembra voler esplorare la dimensione della senilità, così come può essere vissuta dall’uomo moderno, quale smagata accettazione di una perdita di vitalità. Frank Bascombe rappresenta il suo alter ego. A conti fatti, una delle maschere più autentiche della solitudine americana.