Ricciardi: il malato, «opera d’arte da restituire alla sua bellezza»

Nella basilica lateranense la Messa per medici e operatori sanitari. Il vescovo: «Anche quando non si può guarire una malattia, si può e ci si deve prendere cura della persona fino in fondo, dalla nascita alla morte»

Ha scelto il 19 ottobre il vescovo Paolo Ricciardi, il giorno che segue la festa liturgia di san Luca patrono dei medici, per incontrare nella celebrazione eucaristica medici e operatori sanitari della diocesi di Roma. Ad accoglierli, la basilica di San Giovanni in Laterano. «La tradizione vuole che l’evangelista fosse medico di professione con la passione per la pittura – ha chiosato il presule, delegato per la pastorale della salute – e possiamo dire che le due arti, così distinte, hanno però dei punti in comune: il medico, come il pittore, deve avere infatti una visione d’insieme che cura i particolari tenendo conto dell’intero quadro».

Anche se ci sono diverse specializzazioni, ha chiarito Ricciardi, «non possiamo considerare un paziente solo per il suo braccio, per l’occhio o per un organo interno: curando una parte, stando attenti ai piccoli particolari, noi ci prendiamo cura di tutta la persona, del suo corpo e della sua anima». Come il pittore si impegna, «anche se non sempre ci riesce, a creare un’opera d’arte, così chi si prende cura del malato è davanti ad un’opera d’arte da rimettere a posto, da restaurare, da restituire alla sua bellezza. E anche quando non si può guarire una malattia, si può e ci si deve prendere cura della persona fino in fondo, dalla nascita alla morte».

Ancora, rivolgendosi ai tanti cappellani ospedalieri concelebranti, ai medici, gli operatori socio-sanitari, ai volontari e alle religiose dedite al servizio ai malati, il vescovo ha sottolineato che nelle loro mani c’è «il grande dono e la grande responsabilità di farvi vicino ai sofferenti per restituire la vera umanità, guardando all’umanità di Cristo. Come il pittore ha bisogno di un modello per dipingere un quadro, voi avete un modello: Cristo stesso». Ma per realizzare questo «c’è bisogno che tale umanità sia di nuovo incarnata nella vostra vita perché in un tempo in cui conta più il denaro del malato, o più le regole delle persone, occorre una rivoluzione che parta dai vostri reparti, dalle stanze di ospedali o dagli studi medici: la rivoluzione che vuole rimettere la persona al centro. Il malato al centro».

Proseguendo la sua omelia il vescovo ha citato Papa Paolo VI il quale rivolgendosi ai medici il 19 ottobre del 1970 «citò un autore russo che scrisse: “Il medico di famiglia era la figura più intima nella vita ma l’hanno estirpata e quanti adulti adesso si dibattono muti, non sapendo dove trovare un medico e un’anima a cui poter esprimere i propri timori più segreti”. E il Papa continuava dicendo: “Un medico e un’anima è una bella espressione che può riferirsi sia alla vostra  funzione di medici che alla nostra di sacerdoti: c’è un’alleanza che ci unisce nel servizio e nella carità verso l’uomo che soffre”».

Infine, Ricciardi ha affidato a Maria coloro che lavorano nei diversi luoghi di cura, richiamandoli a una missione non solo professionale ma primariamente umana: «Quando entri nella stanza di un malato, o quando lui viene da te, non aver fretta, spendi un po’ di tempo anche per la “pastorale del saluto” perché chi soffre ha bisogno di un saluto che ti fa sentire a casa, di uno sguardo rassicurante, di un sorriso che accoglie. Voi avete in mano la persona nella sua fragilità: trattatela come un tesoro prezioso, unico. Il modo con cui vi ponete o le parole che usate possono ridare vita a un’anima anche se il corpo ha una sentenza di morte e proprio perché nelle vostre mani ci sono vite umane, ricorrete frequentemente alle mani di Dio, riabituatevi a pregare prima di lavorare, riaffidate a Lui quanti Lui vi ha affidati».

22 ottobre 2018