Riccardi: «Pensare alla pace per il mondo globale»

Lo storico, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, nella parrocchia di Sant’Ippolito. Le guerre di oggi e l’invito ad avere «in una mano il Vangelo e nell’altra il giornale»

La pace quale frutto di preghiera, cultura e azione, non «un concetto astratto». A partire da questa prospettiva pragmatica, «perché non si può rinunciare ad agire per la pace», Andrea Riccardi, storico e fondatore della Comunità di Sant’Egidio, ha affrontato il tema della guerra nella sua lectio magistralis “L’uomo è capace solo di vivere di conflitti?”. Prendendo parte ieri sera, 5 dicembre, al ciclo di incontri “Di cosa sei capace, o uomo?” organizzato dalla parrocchia di Sant’Ippolito al cinema “Delle provincie”, a due passi da piazza Bologna, introdotto dal saluto del parroco monsignor Manlio Asta, l’esperto ha messo in luce che «parlare di pace vuol dire parlare di storie di popoli».

Il presupposto è l’idea che «tutto si comunica e si tiene insieme» e che, dunque, «bisogna pensare alla pace per il mondo globale», dove «le guerre non finiscono ma si eternizzano» perché «c’è stata una svolta nella concezione della guerra che oggi è ormai “riabilitata” come strumento per i risolvere i conflitti». Partendo da qui, Riccardi ha poi guardato ad alcune situazioni particolari. Dalla guerra in Ucraina, «entrata prepotente due anni fa in Europa, turbando un equilibrio a causa dell’aggressione russa», al più recente «attacco violento e disumano di Hamas», che porta a porsi «la domanda se il popolo palestinese di Gaza non sia prigioniero del terrorismo».

In particolare l’autore de “Il grido della pace”, edito dalla San Paolo, ha poi considerato come «Israele sia una sicurezza per l’ebraismo internazionale. Questa sicurezza è saltata» lo scorso 7 ottobre con l’intensificarsi del conflitto israelo-palestinese, in merito al quale Riccardi ha ripreso anche le parole del presidente americano Biden per dire che «il terrorismo si combatte con la politica e non con la guerra». Da qui pure il richiamo al ruolo del cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca latino di Gerusalemme, «conoscitore della cultura ebraica» e «capace di mediare».

Ancora, il rimando di Riccardi alla guerra che interessa l’Afghanistan, per cui «noi come Sant’Egidio stiamo lavorando molto per i corridoi umanitari», e al conflitto che si combatte in Sudan e di cui «non si parla» mentre si tratta di «un Paese distrutto, con 4 milioni di bambini a rischio»; quindi, lo storico ha detto con forza che «di fronte a tutto questo non è vero che siamo impotenti» perché «come cristiani abbiamo il dovere e la responsabilità di pregare per la pace» e anche perché «l’opinione pubblica conta e possiamo quindi batterci per la pace».

Citando il filosofo Karl Barth, l’esperto ha ricordato che «il cristiano dovrebbe avere in una mano il Vangelo e nell’altra il giornale» perché «la preghiera di pace si nutre anche di informazione, per conoscere le situazioni e decidere con chi schierarsi e come orientarsi», a dire che «le guerre ci devono risvegliare a un senso di responsabilità per la pace». Soprattutto, «dobbiamo essere grati a Papa Francesco per le sue posizioni sulla pace – sono ancora le parole di Riccardi – e per la sua enciclica sulla pace quale di fatto è “Fratelli tutti”». Elementi che lo pongono «in continuità con i suoi predecessori del ‘900», alimentando «la posizione cristiana che si nutre della storia del popolo di Dio, che sa che il mondo esce peggiore da ogni guerra».

6 dicembre 2023