“Restiamo amici”, quando gli scherzi diventano beffa

Nella pellicola di Grimaldi, il modello della commedia italiana classica, capace di forti sfumature di cattiveria e cinismo, a cui oggi si privilegia un maggior buonismo

Da quando ha perso la moglie, Alessandro, pediatra quarantenne, vive col figlio adolescente Giacomo una vita tranquilla e appartata. Quasi come una sorpresa riceve un giorno una telefonata dal Brasile. A chiamarlo è Luigi, amico dei tempi di scuola, che gli chiede di raggiungerlo al più presto. Un po’ in ansia, un po’ preoccupato, Alessandro parte subito e, all’arrivo, scopre che l’allarme lanciato è un falso. Parte da questo primo gradino di beffa la sequenza di rovesciamento delle parti che attraversa Restiamo amici, storia che si muove in un ampio orizzonte ironico, diluito e giocato nel film di Antonello Grimaldi che è nelle sale dal 4 luglio scorso. Ad Alessandro e Luigi si unisce infatti Leo, ricomponendo un terzetto che ben presto ritrova la nostalgia degli anni passati e si industria per scovare scherzi imprevedibili e inediti.

Luigi, memore di essere stato quello che non guardava in faccia a nessuno, stavolta vuole convincere gli altri due ad architettare una truffa di tre milioni di euro. C’è di mezzo però la necessità di dimostrare di avere un figlio e quindi una paternità che Luigi chiede di identificare in Giacomo, il figlio adolescente di Alessandro. Naturalmente il piano viene studiato in tutti i dettagli, pesando pro e contro, superando le molte incertezze di Alessandro, fortemente contrario, e ipotizzando uno scenario alla fine di non impossibile svolgimento. Tra il dire e il fare, naturalmente, passa un oceano, e quindi la truffa diventa beffa, nella variazione dello scherzo sapido e cattivo che ha segnato tanta parte della commedia italiana, soprattutto negli anni ’50 e ’60, da “I soliti ignoti” a “Crimen”, per citarne solo alcuni.

Partendo da qui, dall’omonimo romanzo di Bruno Burbi, sceneggiato da Marco Martani e Raffaello Fusaro, il copione si indirizza a poco a poco nel sottogenere degli“heist movie” (i film del colpo grosso), mettendosi a confronto con precedenti di non poco successo. Antonello Grimaldi, il regista, ha detto che c’è certamente alle spalle il modello “Ocean’s Eleven”, ma che lui e gli altri autori hanno avuto in mente anche l’esempio di “Amici miei”, ossia il gruppo terribile di comici dediti alla beffa e alla presa in giro, anche a costo di essere fraintesi ed equivocati. Grimaldi ha confermato che il modello era quello di tornare alla commedia italiana classica, quella che aveva come protagonisti Gassmann, Tognazzi, Manfredi, Sordi, in grado di mettere in campo forti sfumature di cattiveria e di cinismo secondo una modalità che oggi la commedia tende ad abbandonare a vantaggio di un maggior buonismo e di una più marcata positività.

Non si tratta naturalmente di godere nel mettere i personaggi in difficoltà ma semmai di non risultare troppo edulcorati per non rendere certe situazioni poco credibili. L’andamento si propone come una ronda frenetica e incalzante nella quale i beffatori escono beffati e chi stava cantando vittoria alza la bandiera della sconfitta. Essendoci al centro tre protagonisti, si potrebbe pensare ad un film al “maschile”. Impressione cancellata dai molti snodi narrativi che segnano situazioni tutte movimentate e pilotate da personaggi femminili. Così in un equilibrio imprevedibile, il gioco arriva ad una conclusione amarognola, specchio di una situazione nella quale la presa d’atto del fallimento personale va di pari passo con il rimpianto per un passato di maggiori entusiasmi giovanili.

8 luglio 2019