“Respect”, l’omaggio ad Aretha Franklin

Un brano che rappresentò una svolta per l’America del 1967, divenne un inno della lotta per i diritti civili

Qualche anno fa qualcuno ha avuto l’idea censire le canzoni della musica pop italiana che toccano il tema religioso. Trecentodiciotto. Strano ma vero. E se allargassimo lo sguardo oltreconfine e oltreoceano, e ad altri generi musicali, compreso quel rock che taluni hanno definito sbrigativamente “musica del diavolo”, il conteggio salirebbe. E crescerebbe ancora di più se estendessimo l’ambito di indagine a tutto ciò che incrocia l’inquietudine dell’uomo, la sua passione per la vita, la bellezza, le grandi domande dell’esistenza, il dramma della morte, l’apertura al mistero, il grande tema dell’amore (che pure, è giusto dirlo, in molte canzoni viene banalizzato).

Ebbene, è proprio in questo sterminato mondo forse poco conosciuto, non tanto nei singoli brani quanto nelle loro suggestioni dettate dai testi, che vorremmo provare a cercare ogni settimana qualche proposta di senso, magari intrecciando qualche “provocazione” dell’attualità. Senza la pretesa di compiere una riflessione “tecnica” sui brani o di ripercorrere la storia degli artisti che ne sono autori o esecutori. Vorremmo provare invece a indicare qualche domanda di senso, qualche traccia di luce che costella tanti brani della musica “leggera”, pop, rock, con la libertà di sconfinare in altri generi che in fondo spesso si intersecano tra loro o di riservare un omaggio a qualche “grande” che non c’è più. Come faremo questa volta.

La prima scelta è un omaggio alla regina del soul scomparsa circa un mese fa a 76 anni, Aretha Franklin. Con un brano che rappresentò una svolta per l’America di quell’anno, il 1967, in cui la lanciò: Respect. Due anni prima l’aveva incisa Otis Redding ma con Aretha, nonostante minime modifiche nel testo, divenne un’altra cosa.

Cambiò veste e significato, divenne un inno della lotta per i diritti civili. Innanzitutto c’era la richiesta di rispetto verso le donne. “Rispetto, prova a capire cosa significa per me. Rispetto, prenditi cura di me”. Gli afro-americani ne fecero uno dei punti di riferimento nel loro impegno di difesa dei loro diritti. Lei, Aretha, che in quel 1967 aveva solo 25 anni, sapeva bene quanto fosse duro e drammatico quel periodo che scosse l’America. Dalla sua casa, con il papà pastore battista, era passato anche Martin Luther King. E solo un anno dopo aver lanciato Respect dovette andare ai suoi funerali, nella chiesa battista di Ebenezer, dove cantò Take my hand precious Lord.

12 settembre 2018