Recuperare il senso e l’esperienza del contatto

Il significato delle relazioni sta mutando a causa della pandemia di coronavirus. Ora è tempo di “decontaminarsi” dalla paura, per investire nuovamente sul senso della vita

Da due anni a questa parte la parola “contatto” ha assunto un significato tetro, pauroso, negativo. Parla di malattia, di contagio, di possibile fragilità e caduta. Abbiamo perso il significato profondo di questo vocabolo rivestendolo di qualcosa che, invece di avvicinare, allontana, innesca timori, giudizi e pregiudizi. Essere a contatto sta diventando sinonimo di una possibile esperienza di male, di qualcosa da cui rifuggire e da cui mettersi al riparo. Abbiamo perso il senso profondo dell’essere accanto, di avvicinare corpi, esperienze, di condividere spazi e tempi. Stiamo educando le nuove generazioni alla paura della vicinanza, al mettersi al riparo da possibili presenze troppo intime, da conoscenze che possano arrivare a farsi più strette.

Il significato delle relazioni sta mutando, le prime esperienze di innamoramento dei nostri giovani sono mutilate dal necessario rapporto con la fisicità dell’altro, del conoscerlo attraverso i sensi, del lasciarsi permeare dalla sua presenza. È chiaro che nel percorso educativo ci troviamo di fronte a un’emergenza: dover accompagnare i nostri ragazzi alla conoscenza dell’altro, alle prime esperienze di amicizia e affettività ma nella piena sicurezza della salute. Dobbiamo preservare e proteggere ma allo stesso tempo aiutare a non perdere il contatto con l’altro, a relazionarsi profondamente con le persone accanto, a non smarrire la necessaria esperienza della conoscenza, all’uscire fuori da sé e dal proprio egocentrismo per favorire l’incontro.

La nostra fisicità, e ancor più la fisicità dei giovani in formazione, è barricata dalla paura, è mediata dal pericolo, è chiusa in un perimetro stretto e angusto che, se da una parte protegge, dall’altra limita e imprigiona. La parola contatto, così necessaria alla nostra crescita, è diventata sinonimo di contagio. Le prime tre lettere sono identiche: indicano vicinanza, presenza, compartecipazione di una stessa realtà, condivisione di un percorso. Sono un essere con l’altro, per l’altro e insieme all’altro. Le lettere restanti indicano invece lontananza, difesa, un guardarsi le spalle, un percepire l’altro come un probabile nemico. Occorre recuperare il senso e l’esperienza del contatto profondo, del poter anche sporcarsi le mani con il vissuto di chi ci sta accanto, della sua storia, delle sue fatiche e delle sue gioie. Occorre decontaminarsi dalla paura, pur mantenendo i limiti della prudenza necessaria. Occorre recuperare il senso profondo dell’entrare in comunione con l’altro, del conoscerlo al di là di un fugace tocco caratterizzato, spesso, da una sottile e fredda indifferenza.

Viviamo indubbiamente in un momento storico delicato, complesso e difficile ma siamo chiamati a investire nuovamente sul senso della vita, sul senso della vicinanza, del collegamento all’altro senza la paura di ciò che la sua vita comporta, sul senso della contiguità, dell’essere nuovamente accanto sentendo il profumo dell’esistenza di chi ci è vicino. Siamo chiamati a educare le nuove generazioni al senso del legame, della condivisione, dell’allungare la mano per trovare quella dell’altro e farsi permeare dalla sua storia, dalle sue emozioni e sensazioni. Dobbiamo ridonare alle parole un significato positivo: il contagio non come sinonimo di malattia ma di esperienza di sostegno, di accompagnamento e aiuto; il contagio come lasciarsi interrogare dall’esistenza dell’altro, dal suo sguardo, da ciò che ha dentro; il contagio come contaminazione di esperienze e di esistenze che, insieme, cercano e danno senso alla vita. Un contagio positivo libero dalla paura del negativo, della caduta, del pericolo.

Occorre accompagnare i ragazzi alla riscoperta dei sensi come esperienza di vita: l’odorato per lasciarsi incontrare dal profumo dell’esistenza dell’altro; il gusto come gioire insieme del piacere dell’incontro e di esperienze condivise; la vista come possibilità di soffermarsi sul viso dell’altro, sui suoi occhi che, in questo momento, parlano molto di più di altro purtroppo tenuto coperto, su sguardi che cercano risposte da costruire insieme; l’udito per ascoltare le storie di vita, penetrare nel mistero dell’altro, di quello che dice e ancor più di quello che non riesce a comunicare ma ha bisogno di ascolto profondo per poter uscire e infine il tatto che permette l’incontro, l’abbraccio, la contiguità di esperienze, che getta un ponte tra due rive eliminando ogni forma di distanza e di difesa dal probabile nemico.

Sicuramente abbiamo perso tanto durante e a causa della pandemia ma possiamo trarre anche grandi insegnamenti:  possiamo chiederci quanto come adulti stiamo aiutando i nostri ragazzi a investire ancora sul futuro, a vederlo possibile , a recuperare il contatto profondo con l’altro, a non aver paura di mettersi in gioco uscendo dallo stretto e rassicurante perimetro del mondo virtuale, Abbiamo una grande chance: rendere ancora una volta il contagio condivisione, il contatto vicinanza, la contaminazione scambio profondo di esperienze di vita. Con coraggio e fiducia. (Alessandra Bialetti, consulente familiare)

14 marzo 2022