Rash, “La terra d’ombra” e la guerra

Un romanzo ambientato negli anni della grande guerra, proposto dalla Nuova Frontiera nella traduzione di Tommaso Pincio. Nella svolta drammatica, il senso e il valore dell’intera vicenda

«Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi»: nella dichiarazione di Gesù (Giovanni 14, 27-31), che torna in auge a ogni epoca, potremmo considerare tutto l’inevitabile scarto fra i pascoli celesti, sperati e vagheggiati, e i nostri campi tristemente noti: insondabili quelli, ben visibili questi. Ron Rash, scrittore tanto legato alla terra dove è nato nel 1953 e si è formato, le due Caroline del profondo sud americano, alquanto interessato alla storia novecentesca, in una delle sue opere migliori, The Cove, uscita nel 2012 e proposta in italiano dalla Nuova Frontiera con il titolo La terra d’ombra (traduzione di Tommaso Pincio), dimostra fino a che punto la guerra avveleni i pozzi delle coscienze, individuali e nazionali, continuando a spargere fiele anche al termine dei conflitti. Dopo che gli uomini si sono uccisi sui terreni di battaglia non basta firmare gli armistizi ai tavoli dei politici.

Il romanzo è ambientato negli anni della grande guerra, al tempo in cui le conseguenze delle stragi avvenute nelle trincee del Vecchio Continente arrivavano fin dentro le fattorie ai piedi dei monti Appalachi: il giovane Hank è tornato dal fronte senza una mano ma ciò non gli ha impedito di riprendere il proprio lavoro con l’unico sostegno della sorella Laurell, considerata una specie di strega dalla comunità locale, forse a causa di una voglia che lei sin da piccola ha cercato inutilmente di togliersi a costo di bruciarsi la pelle. L’equilibrio dei due ragazzi, orfani abituati a superare qualsiasi avversità e quindi profondamente legati, viene alterato dalla comparsa di un uomo di nome Walter, vagabondo, musicista e muto, di cui Laurell, dopo averlo soccorso e curato, s’innamora.

Non sveleremo quali saranno gli sviluppi di questo incontro, anche perché la narrazione, lenta e cadenzata fin quasi alla sua metà, conosce poi una svolta drammatica che finisce per dare senso e valore all’intera vicenda, comprese le minuziose e ossessive descrizioni delle attività manuali svolte dai personaggi principali. A restare nella memoria restano i loro profili. Oltre a quelli summenzionati, ricordiamo i due estremi caratteriali: Chauncey, protervo e malvagio nella sua istintività quasi ferina, eppure anch’egli segnato da un’infanzia difficile, e il vecchio Slidell, la cui generosità senza ricambio identifica la residua speranza presente nel libro. Se qualcuno accanto a te viene colpito, tu non puoi andar via come se niente fosse. E così comprendiamo la ragione per cui Miss Calicut, maestra di scuola, tanti anni prima, scosse la testa dopo aver ascoltato la storia di Riley, piccolo allievo. Suo padre aveva sparato a uno stormo di parrocchetti dicendo al figlio che erano animali stupidi perché quelli rimasti incolumi anziché scappar via seguitarono a volare in cerchio finché morirono tutti. «Non è perché sono stupidi, Riley».

2 novembre 2022