“Rapito”: Marco Bellocchio e la Storia
Già in concorso al Festival di Cannes, il film racconta lo scontro tra il mondo cattolico e quello ebraico nella Bologna del 1858. Scontro che conduce a un universo senza vinti né vincitori
Quartiere ebraico di Bologna, 1858. I soldati del Papa fanno irruzione nella casa della famiglia Mortara. Devono prendere in consegna Edgardo, il loro figlio di otto anni che, su dichiarazioni di una domestica, ritenuto in punto di morte a sei mesi, era stato segretamente battezzato e, in base alla legge papale, deve ricevere un’educazione cattolica. È il punto di partenza di Rapito, diretto da Marco Bellocchio, in concorso al Festival di Cannes e in sala dal 25 maggio.
Bellocchio è oggi un “grande vecchio” del cinema italiano, classe 1939: a partire dal Leone d’argento vinto a Venezia nel 1967 con La Cina è vicina, ha realizzato una trentina di lungometraggi segnati da vigore espressivo e costante qualità narrativa. Nel 2022 nella miniserie Esterno notte è tornato ad affrontare il caso Moro. Ora eccolo di nuovo a confrontarsi con la Storia, scenario dentro il quale si muove con forte coerenza, raccontando fatti ma aggredendoli con sguardo lucido e vigoroso, mai banale e scontato, anzi carico di tensione morale. Scritto da Bellocchio con Susanna Nicchiarelli (la regista di Chiara) con la collaborazione di Edoardo Albinati e Daniela Ceselli, Rapito chiama l’attenzione dello spettatore su una porzione ben identificata della storia italiana: Bologna nel 1858 fa ancora parte dello Stato Pontificio, e intorno alle leggi in vigore nello Stato della Chiesa evolve l’azione con tutta la sua carica dirompente.
Bellocchio fa riemergere visi e volti che popolavano allora quella fetta di territorio con una nitida dialettica che, cominciata con pacata tranquillità, cresce a poco a poco fino ad assumere i toni di un forte insanabile dissidio, perché il bambino, nato ebreo, è costretto a cambiare religione; ma a questo obbligo non si rassegnano i genitori né tantomeno gli esponenti ebraici coinvolti in quello che in breve tempo diventa un vero e proprio caso internazionale. Bellocchio affronta ogni passaggio con scrupolo e minuziosa attenzione. E non può quindi evitare che la Chiesa sia mostrata nella cornice di un potere temporale chiuso e ottuso: una Chiesa dalla quale il senso di comunità è escluso. La Chiesa che il regista ci mostra è dunque quella che rinuncia all’Amore per cedere all’obbligo delle regole.
Lo scontro tra mondo cattolico e mondo ebraico conduce a un universo alla fine senza vinti né vincitori. Sembra però che anche la conclusione vera, quella dettata dalla Storia, ossia il 1870, con la fine del potere temporale della Chiesa, lasci le cose abbastanza irrisolte. Molti avvenimenti passeranno ancora e non tutto troverà una giusta soluzione. Comunque Bellocchio ci lascia una nuova, vibrante testimonianza di quanto sia difficile leggere, spiegare e interpretare gli avvenimenti storici. Difficile anche per un autore navigato come lui e supportato da attori bravi e valorosi.
6 giugno 2023