Ramadan e altre quotidianità a scuola, la normalità dell’incontro

I volti sereni dei ragazzi di fronte alla diversità, contrariamente alla narrazione apocalittica e catastrofica offerta dai media

È iniziato il mese del Ramadan ed è iniziato anche per i tanti studenti musulmani che frequentano le nostre scuole. Giovedì 17 maggio sono entrato in classe la prima ora e ho visto alcuni miei alunni attorniare un loro amico, discutere con lui animati ma sorridenti. Mi sono avvicinato e ho capito che lo studente, peraltro molto bravo e già dall’anno precedente attore positivo nelle dinamiche relazionali della classe, stava affrontando un confronto sul fatto che da musulmano avesse iniziato a digiunare. Mostrava un po’ d’imbarazzo ma comunque anche lui era sorridente.

Mi sono allontanato e, con la scusa di avviare il pc e accendere la Lim, mi sono messo a osservare con la coda dell’occhio e ad ascoltare la loro conversazione. Le domande erano quelle che qualsiasi sedicenne oggi potrebbe fare: «ma perché lo fate», «ma non ti viene sete», «ma non ti viene fame», «ma come fai con gli allenamenti» e via dicendo, senza niente di nuovo rispetto a quanto personalmente immaginabile.

Anche i volti erano quelli che oggi, nella quotidianità della vita scolastica, noto nella stragrande maggioranza dei casi nell’incontro con realtà di questo tipo: il più delle volte volti sereni e, se giudicanti, in fondo con senso del rispetto o meglio della normalità. Proprio in quel momento mi sono però reso conto che se le domande banali dei miei ragazzi erano quelle per me scontate, molto meno scontati erano i loro volti, sorridenti e comunque rispettosi.

Proprio questa percezione mi ha portato a riflettere per l’ennesima volta su quanto oramai sia grande la voragine tra un certo tipo di narrazione apocalittica e catastrofica di un mondo che sta profondamente mutando (come dall’inizio dei tempi per altro) e la normale e prosaica quotidianità di luoghi come la scuola in cui questi processi si sostanziano realmente, in fondo infischiandosene del loro racconto mediatico. La sensazione, anche in questo caso, è stata quella forte di come un modo comunicativo polarizzante, aggressivo e semplificatorio di raccontare e quindi vivere la realtà, sia divenuto (falso) referto della realtà intera.

Di contro i volti sorridenti dei miei ragazzi mi stavano di nuovo dicendo come fenomeni complessi (perché l’integrazione è un fenomeno complesso e la scuola è in prima linea da sempre nella gestione di questa complessità) nella realtà si incanalino nei tragitti lenti e carsici della quotidianità, con andamenti spesso nemmeno troppo burrascosi ma anzi, proprio come un torrente che finisce per diventare fiume, senza rilevanti apparenze di violente discontinuità.

Quando quindici anni fa sono entrato a scuola percepivo criticità sul tema dell’integrazione che a oggi sono felice di constatare essersi decisamente modificate in meglio, ne sono subentrate altre certo, ma oggi vedo molti più ragazzi abituati alla normalità dell’incontro con il diverso, oramai divenuto per molti parte della propria semplice e sacrosanta quotidianità. Anche il Ramadan nelle nostre scuole fa parte di questa quotidianità, così come ne fanno parte tutte le infinite rifrazioni di un mondo che cambia, ma non per questo oramai alla deriva o peggio senza più speranza. Tutt’altro. A tra quindici giorni.

 

 

23 maggio 2018