Raab, tra le matriarche del Messia

La sua storia nel libro di Giosuè. Il suo nome diventa un codice genetico per sciogliere le guerre di conquista nella pace che genera un popolo solo, una terra di Dio. Un’oasi di fraternità

Forse non tutti i romani sanno che quello spuntone di roccia che si può ancora individuare sul Campidoglio si chiamava anticamente “la rupe Tarpea”. Da lì sembra che venissero precipitati i traditori. Ne parla anche Virgilio in alcune strofe dell’ottavo libro dell’Eneide (tradotte da Annibal Caro): «A la Tarpeia rupe, al Campidoglio poscia l’addusse; al Campidoglio, or d’oro, che di spini in quel tempo era coperto, un ermo colle dai vicini agresti per la religïon del loco stesso insino allor temuto e riverito (…) In questo bosco, e là ’vè questo monte è più frondoso, un dio, non si sa quale, ma certo abita un dio».

Il vecchio Evandro spiega allo straniero Enea la sacralità della rupe Tarpea. Il nome era dovuto a una donna la quale aveva aperto le porte di Roma a Tito Tazio, re dei Sabini. La leggenda vuole che i Sabini avessero poi chiesto a Tarpea che cosa volesse in cambio di tale favore. Ella, vedendo che i Sabini portavano bracciali d’oro al polso sinistro chiese quello che portavano alla sinistra. Fu un errore fatale perché quelli, alla sinistra, avevano anche lo scudo! Una volta entrati in città la seppellirono, dunque, sotto un cumulo di scudi e la precipitarono dalla rupe che, così, divenne “Tarpea”.

Una storia simile che finisce, però, in modo affatto differente, è quella di Raab, una donna che segna il destino di Israele ma anche dei cristiani. Ella appare nel libro di Giosuè dove gli Israeliti, dopo un quarantennale peregrinare nel deserto, si trovarono a varcare il fiume Giordano. Essi erano degli invasori, ancorché convinti che il Dio del Sinai li avesse autorizzati a occupare la “terra promessa” per risarcirli della schiavitù dell’Egitto e dello sterminio cui Faraone aveva mirato, uccidendo i loro figli maschi.

Erano stati i superstiti a fuggire sperando di trovare un paese dove poter abitare con dignità. Ma adesso che si trovavano alle porte di Gerico l’impresa non sembrava affatto facile poiché la città era ben difesa. Allora «Giosuè, figlio di Nun, di nascosto inviò da Sittìm due spie, ingiungendo: “Andate, osservate il territorio e Gerico”. Essi andarono ed entrarono in casa di una prostituta di nome Raab. Lì dormirono» (v.1). Le prostitute, essendo impure, abitavano ai limiti delle mura delle città e per questo dalla prostituta Raab le spie di Israele trovarono rifugio.

Ma come sempre accade, la cosa si venne a sapere e il re inviò a controllare la casa di Raab. Ed ecco che lei – come Tarpea – con una buona dose di coraggio, tradì la sua città: nascose nella sua terrazza, tra gli steli di lino, le due spie di Israele e disse il falso alle guardie del re: «Sì, sono venuti da me quegli uomini, ma non sapevo di dove fossero. All’imbrunireuscirono e non so dove siano andati. Inseguiteli, presto!» (vv.4-5).

Dopo aver mandato le guardie fuori pista Raab fece scendere le spie «con una corda dalla finestra (…) e disse loro: “Andate verso i monti, perché non v’incontrino gli inseguitori”» (vv.15-16). Come Tarpea anche Raab chiese quindi un compenso, non in cose venali, tuttavia, ma dicendo: «Ora giuratemi per il Signore che, come io ho usato benevolenza con voi, così anche voi userete benevolenza con la casa di mio padre; datemi dunque un segno sicuro che lascerete in vita mio padre, mia madre, i miei fratelli, le mie sorelle e quanto loro appartiene e risparmierete le nostre vite dalla morte». Ed essi giurarono a Raab dicendo: «Quando noi entreremo nella terra, legherai questa cordicella di filo scarlatto alla finestra da cui ci hai fatto scendere e radunerai dentro casa, presso di te, tuo padre, tua madre, i tuoi fratelli e tutta la famiglia di tuo padre» (vv.14-18). E quando gli Israeliti incendiarono Gerico «Giosuè lasciò in vita la prostituta Raab, la casa di suo padre e quanto le apparteneva. Ella è rimasta in mezzo a Israele fino ad oggi, per aver nascosto gli inviati che Giosuè aveva mandato a esplorare Gerico» (Gs 6,25).

Queste due storie dal sapore leggendario chiedono un’interpretazione ed è ciò che fanno i racconti stessi, orali o scritti, riguardo le due donne. Tarpea sembra esser punita perché ha chiesto una ricompensa venale – l’oro – e non tanto per aver aperto le porte di Roma ai Sabini. Del resto i Romani – quando si trovarono a corto di donne – invasero a loro volta le colline sabine per il famoso “ratto”. Senza i sabini non ci sarebbero i romani!

Così Raab: dal punto di vista degli abitanti di Gerico la vediamo candidata per essere gettata giù dalla rupe ma dal punto di vista degli israeliti in cerca di una terra dove posare il capo, il gesto della prostituta diventa un atto di carità verso dei profughi. Certo, però, favorendo, con l’inganno, una mostruosa guerra. C’è una seconda prospettiva su Raab che è quella data dal Nuovo Testamento dove proprio lei, la prostituta, compare tra le matriarche del Messia, di David e di Gesù (cf. Mt 1,5). Il nome di Raab diventa un codice genetico per sciogliere le guerre di conquista nella pace che genera un popolo solo, una terra di Dio che non è di diritto né della stirpe ebraica né di quella cananaica, ma di una gente meticcia, intrecciata, un tutt’uno nei figli che da allora abiteranno a Gerico come in un’oasi di fraternità.

8 ottobre 2024