Quelle “uscite” di Gesù dedicate alla preghiera

Un faccia a faccia tra l’umano e Dio che è mistero di trasformazione, di vita nuova, di rigeneranti contatti d’amore e di misericordia. Le “fughe” di Mosè ed Elia

Tra le diverse “uscite” di Gesù ce n’è una che gli evangelisti citano spesso, a conferma che fosse un’abitudine del Maestro, un bisogno che assecondava con una certa regolarità: si tratta delle sue uscite per andare a pregare. Era l’unica occasione in cui Gesù partiva da solo, spesso alle prime luci dell’alba, come dice Marco: «Al mattino presto si alzò quando era ancora buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto e là pregava» (1,35).

Evidentemente la preghiera era così importante per Gesù, che meritava il primo posto nella sua giornata. Talvolta Egli restava molto a lungo in un luogo solitario, a pregare: «In quei giorni – dice ancora Luca – egli se ne andò sul monte a pregare e passò tutta la notte pregando Dio» (6,12). La sua preghiera non era frettolosa ma prendeva le ore che assorbe l’incontro tra due persone che si amano e che non si accorgono neppure del tempo che passa, tanto è il desiderio e la gioia dello stare insieme. Così doveva essere per Gesù quando chiudeva gli occhi e si lasciava andare nelle braccia del Padre o si confidava con Lui di tutto quel che la sua missione nel mondo comportava. In ciò Gesù assomiglia a Mosè, uomo e profeta che Dio aveva chiamato per condurre Israele alla libertà. Un compito davvero difficile che richiedeva preghiere e suppliche, vicinanza esclusiva col Dio che abitava sul monte Sinai.

Come Gesù, anche Mosè restava sul monte da solo, per lungo tempo, come abbiamo veduto nel libro dell’Esodo. Dopo che fu sigillata l’Alleanza, Mosè restò dove abitava Dio, addirittura per «quaranta giorni e quaranta notti» dopo esservi asceso entrando «in mezzo alla nube», soffice segno della Sua Presenza (cf Es 24,18). Quando scese da quell’altezza solitaria, il volto di Mosè appariva ambrato per la luce che l’abbraccio di Dio vi aveva impresso. È la potenza della preghiera, porta dell’Oltre; un faccia a faccia tra l’umano e Dio che è mistero di trasformazione, di vita nuova, di rigeneranti contatti d’amore e di misericordia. Certamente anche Gesù riceveva dal Padre i segreti dell’essere una cosa sola, la voce della consolazione, i doni di quella Comunione su cui si radicava la sua vita terrena, la sua vocazione messianica, la sua incarnazione.

«Congedata la folla, salì sul monte, in disparte, a pregare. Venuta la sera egli se ne stava lassù da solo » (Mt 14,23); c’è un altro uomo che assomiglia a Gesù nelle sue fughe – più che semplici “uscite”! – solitarie verso un luogo deserto, dove non poteva trovarlo nessuno e dove restava anche di notte, indugiando a tornare in mezzo alla sua gente. È il profeta Elia, il quale «s’inoltrò nel deserto una giornata di cammino e andò a sedersi sotto un ginestra » (1 Re 19,4). Desideroso di morire Elia diceva: «Basta!», voleva che Dio prendesse addirittura la sua vita! Chissà se anche Gesù avrà avuto momenti di sconforto come quelli di Elia, al punto di chiedere a Dio di potersi fermare – almeno un giorno! – nel suo cammino terreno che lo portava sino sulla Croce. Del resto Egli era sì, Figlio di Dio, ma anche figlio dell’uomo come noi.

6 dicembre 2021