Quando internet diventa una droga, presentato il rapporto Aiart

Presi in esame 61 casi in 34 province italiane. Varia la casistica della patologia: dai poker-dipendenti al controllo compulsivo di e-mail e chat. Per combattere la dipendenza fondamentale il ruolo della scuola

«L’attenzione di alcuni politici e di alcune amministrazioni per la famiglia è assolutamente marginale. Ho l’impressione che parlino di famiglia solo per farsi propaganda perché ai proclami non sempre seguono le giuste politiche». Lo ha detto, a margine di un convegno promosso dall’Associazione spettatori onlus (Aiart) nell’Aula Giulio Cesare del Campidoglio, il segretario generale della Cei, monsignor Nunzio Galantino. Il numero due della Cei ha poi espresso preoccupazione per la situazione sociale del Paese: «La Chiesa italiana è preoccupata non tanto per gli scontri che ci sono nel Paese, quanto per le situazioni che da questi scontri non escono risolte. Chiunque tenga l’orecchio appoggiato, come fanno gli indiani, sulla situazione della gente, non può non essere preoccupato in questo momento». Si assiste spesso, ha concluso, a «scontri fine a se stessi, che non tengono conto delle situazioni reali. Quando avvengono con spirito costruttivo anche gli scontri invece possono portare a delle soluzioni».

Nel corso della presentazione del Rapporto dell’Aiart sulla Internet-patia, sono stati presi in esame 61 casi di 34 province italiane. L’Aiart ha invitato le sue 92 sezioni locali ad inviare delle schede su eventuali casi di internet-patia. Così è nato il Rapporto. «Ho compilato personalmente almeno una decina di schede – spiega Maria Luisa Ferroglio, avvocato, vicepresidente dell’Aiart nazionale – su altrettanti casi. Il problema è che spesso le persone non sanno di avere una dipendenza da internet». L’Aiart si è avvalsa dell’aiuto di neuropsichiatri che avevano in cura persone con queste difficoltà. I dati sono stati poi elaborati dall’Ambulatorio dipendenze da internet del Policlinico Gemelli, diretto da Federico Tonioni.

La casistica della patologia è la più varia. Un’esodata di 62 anni, divorziata e con un figlio sposato, era abituata a ricevere 60 email al giorno, ora non ne riceve più, va in depressione e passa la giornata davanti alla tv. C’è poi chi vive di videogiochi o di poker online. Un ragazzo siciliano, studente fuori sede a Roma, non ha dato esami per 5 anni per giocare a poker sul web. I pericoli della rete non vanno taciuti – «videogame e pornografia, shopping, aste online, controllo compulsivo di messaggi e email» – ma il segretario della Cei monsignor Galantino «non ha uno sguardo cupo sul “tema internet”. La Chiesa verso la comunicazione ha uno sguardo positivo, lontano dalle visioni apocalittiche dei catastrofisti ma senza cadere nell’ingenuità». Va recuperata la dimensione del «silenzio è capacità di riscoprire la dimensione dello sguardo, della contemplazione e dell’accoglienza dell’altro. La possibilità di comunicazione non è di per sé garanzia di contenuto. I navigatori di ogni tempo hanno sete di relazioni vere».

Vincenzo Lorenzo Pascali, docente dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha studiato le droghe e i meccanismi delle dipendenze e spiega che «la sostanza psicotropa blocca il cervello a livello circolare: le sensazioni si ripetono. Per ricreare la stessa situazione poi si deve reiterare la somministrazione della sostanza. In Internet avviene qualcosa di molto simile. Il meccanismo è più o meno lo stesso».

Usare un nuovo strumento di comunicazione non è di per sé un problema. «Con bambini e adolescenti – spiega Federico Tonioni, esperto di dipendenze e autore del libro “Quando internet diventa una droga” – non siamo di fronte a una dipendenza ma a un nuovo modo di comunicare. Dobbiamo avere una sana curiosità verso questo nuovo modo di comunicare. Le dipendenze comportamentali hanno effetti molto simili a quelle delle sostanze stupefacenti. C’è un’esperienza dissociativa. Ma la dipendenza non è sempre malattia». Su internet manca soprattutto la comunicazione non verbale. «I bambini con problemi di dipendenze – prosegue lo psichiatra – non si fanno guardare negli occhi. Oggi c’è un problema generazionale: la mancanza di rispecchiamento emotivo. Il guardarsi negli occhi e pensare che siamo la stessa cosa. I bambini ci chiedono di essere visti, guardati e considerati. Hanno bisogni di sguardi dal vivo».

Siamo di fronte a problematiche nuove, davanti alle quali non si è ancora preparati, ammette Luca Borgomeo, presidente dell’Aiart: «Tutti – dice – dobbiamo combattere la dipendenza. La scuola ha il dovere di educare all’uso dei media. Intanto abbiamo raccolto 62mila firme per promuovere una legge di iniziativa popolare per l’introduzione della media education nelle scuole. Non è neanche facile capire quando c’è dipendenza. La internet-patia presto dovrà essere trattata come una vera malattia dal Sistema sanitario nazionale».

 

7 novembre 2014