Quando ci mettono a terra, i fallimenti dell’insegnante

Il duro percorso educativo nel rapporto quotidiano con gli adolescenti, dove non mancano rabbia e sconforto. Il bivio delle scelte sempre in salita

Avevo in mente per oggi di scrivere qualcosa su un tema che mi pareva interessante (alcune considerazioni nate in classe sul tema della paternità) ma alla fine, in modo inatteso, mi ritrovo a dire d’altro. Come avviene spesso nel lavoro dell’insegnante è stato un mio studente a sorprendermi, questa volta in un modo di cui avrei fatto volentieri a meno: senza troppo girarci intorno e arrivando subito al punto, vorrei condividere qualche pensiero sulla personale esperienza di un piccolo fallimento educativo.

 

Non racconterò l’episodio, perché non credo sia quello il punto. A riguardo potrei giusto dire che si tratta di una delle tante esperienze ricorrenti nel rapporto adulto-adolescente e che nel mio caso ha a che fare con il venir meno di un patto di fiducia reciproca, un episodio che io stesso, al sentirmelo raccontare, avrei liquidato con un «ma di che ti preoccupi, è evidente che loro provino continuamente a fregarti». Eppure in questo caso, complice la mia stanchezza ma io credo anche il particolare investimento personale sul (difficile) ragazzo coinvolto, ho sentito in modo brutale il peso di quanto avvenuto ed è appunto su questo che vorrei riflettere.

 

La prima reazione è stata quella della rabbia pura. Sentimento legittimo, ma che, anche grazie a una collega sapiente, sono riuscito a fare decantare evitando concretamente di fare letteralmente a pezzi (se non altro dentro me stesso) il ragazzo. Da questo punto di vista è stato per me importante essere stato compreso dalla mia collega e ascoltato nella mia rabbia, ma anche invitato a non rimanere oltre il necessario dentro quella dimensione assolutamente anaerobica dell’intelligenza e dell’anima.

 

La seconda reazione è stata quello dello sconforto, che in parte ho caricato anche esplicitamente sulle spalle del ragazzo, il quale ha percepito senz’altro tutta la mia difficoltà e il senso di desolazione che mi ha portato di fatto a rimuoverlo anche dal semplice incrocio degli sguardi durante le lezioni successive. Eppure in breve tempo ho sentito come anche quella condizione fosse ostile anzitutto verso me stesso.

 

Il terzo stato d’animo è stato mosso dall’essere venuto a sapere casualmente di un ennesimo passo falso compiuto da quel ragazzo con un altro collega, tale da mettere definitivamente in bilico una situazione già critica. Poco dopo ho incontrato lo studente sul corridoio e finalmente i nostri occhi si sono di nuovo incrociati. Non so cosa lui abbia potuto percepire dal mio sguardo, so che nel suo ho visto confusione, disorientamento, vergogna malcelata dalla boria un po’ ridicola e sgraziata di quella età.

 

Ecco, sarebbe fin troppo facile dire a questo punto che il mio essere insegnante ha ripreso il sopravvento e ha riaccolto interiormente la necessità di essere il terreno stabile dove legittimamente lui avrebbe dovuto continuare a puntare i piedi. No, spesso con gli adolescenti non è così. È un percorso duro, a volte durissimo, perché chiama in causa la libertà, la nostra e la loro, questa vita che spesso è così contorta, la nostra e la loro, il bivio sempre in salita del faticoso scegliere tra la discesa verso il male e l’arrampicata con le unghie sul crinale del bene.

 

6 marzo 2019