Pupi Avati tra America e Italia
In sala dal 6 marzo “L’Orto americano”, in cui il prediletto terreno emiliano si allarga in esterni, fino a uno sforamento negli Stati Uniti. In una trama fittissima di imprevisti, che si confronta con il thriller
Bologna 1945. Un’ausiliaria dell’esercito Usa entra in un negozio di barbiere e cattura l’attenzione di un giovane aspirante scrittore che subito se ne innamora e decide in ogni modo di ritrovarla. Da qui, da un incontro fugace che fa breccia nella fragile psicologia del ragazzo, parte L’Orto americano, nuovo film di Pupi Avati, in sala dal 6 marzo.
Pupi Avati è oggi tra i registi italiani più affermati e apprezzati. Nato a Bologna nel 1938, da sempre ha messo il capoluogo emiliano al centro della sua attività. Bologna, il suo territorio rappresentano l’humus nel quale si muove la sua ispirazione, comprendendo anche fiumi e campagne circostanti, fino alle valli di Comacchio. Una zona molto amata nella quale Avati si muove con discrezione, per non turbarne l’innata tranquillità. Eppure, a partire dai suoi esordi (primo film Balsamus l’uomo di Satana, 1968, poi Thomas e gli indemoniati, 1970, fino al terzo La Mazurka del barone, della Santa e del Fico Fiorone, 1975) il regista guarda il suo “piccolo” mondo emiliano attraverso il filtro di uno stralunato e talvolta torbido realismo, popolato di strani personaggi semmai più vicini a una fiaba “horror”.
Il film odierno, ultimo di una serie che annovera ormai più di cinquanta titoli tra cinema e televisione, ancora una volta sceglie come contorno il prediletto terreno emiliano, ma lo allarga in esterni a uno sforamento negli Stati Uniti: più precisamente nel Mid West americano, a Davenport nell’Iowa. Qui arriva il giovane scrittore, autore di libri finora mai pubblicati, per scrivere finalmente l’opera della svolta, ora spinto dall’emozione nata dopo aver intravisto l’ausiliaria americana.
Andando avanti, il racconto si inoltra in una trama fittissima di imprevisti, nei quali l’ignaro ragazzo resta imprigionato fino a perdere il senso di sé stesso e dei motivi che lo hanno spinto ad andare negli Usa e poi a tornare in Italia. Ben presto la trama (e il giovane che ne è l’asse portante) si confronta con il genere narrativo thriller-gotico horror che Avati predilige e in questa occasione ammanta di una affilata poetica esistenziale. Ad accrescere il misterioso fascino del racconto contribuisce non poco la scelta di girare il film in bianco e nero, ricreando così le suggestioni di un periodo e di un clima che rimanda agli anni ’40 e a quel cinema che (forse) non si fa più.
Avati ha sottolineato l’intenzione di girare un film alla maniera “antica” per recuperare emozioni, sentimenti, paure di un mondo probabilmente scomparso. Aggiunge che con questo film è tornato a «fare il cinema», con il rispetto per i luoghi, le persone, gli attori e le attrici. Qui Filippo Scotti, nel ruolo del giovane scrittore, è senz’altro il protagonista, ma intorno a lui ruota una miriade di comprimari, giusti ed efficaci, a ricostruire una vicenda capace di aprire tanti interrogativi non risolti.
26 marzo 2025