Psicoterapeuta e avvocato, alleati nei conflitti familiari

L’importanza della salvaguardia del legame tra le generazioni, fulcro della relazione familiare. Una riflessione nata dal lavoro concreto nei casi di separazione

Approfondendo la tematica trattata nel precedente contributo ho avuto modo, come terapeuta, di confrontarmi con situazioni di sofferenza relazionale sia all’interno della coppia sia nella dinamica familiare, dove i figli diventano i principali catalizzatori del disagio emotivo. È possibile, con un lavoro terapeutico, poter entrare nella storia e nel romanzo di quella coppia e di quella famiglia e permettere a ciascun membro di poterne vedere la ricchezza e la complessità, favorendo la consapevolezza dei processi che hanno portato alla formazione del disagio, dei conflitti e delle sintomatologie specifiche. Quando non è possibile accompagnare un processo trasformativo, che si verifica nella maggior parte delle situazioni, è comunque possibile sostenere le persone nel poter affrontare la sofferenza della separazione.

L’oggetto di approfondimento è proprio il legame, e la persona è intesa come essere in relazione che vive di legami e che esiste in relazione con l’altro: così come insieme si stringe il patto, così insieme lo si scioglie. L’aspetto paradossale del divorzio, quando il processo di coppia porta alla rottura del patto, è quello di essere un compito congiunto che trascende l’elaborazione personale, che ha comunque il suo spazio e il suo peso.

Il lavoro è sul legame perché con lo scioglimento si ritirano dal patto gli impegni e i doni reciproci, lasciando spazio al dolore del fallimento, all’odio per l’altro vissuto come fonte di male o verso di sé, percepiti come indegni e incapaci nel portare avanti una relazione, o all’essere assorbiti dall’angoscia del presente-futuro. A corona della risonanza personale ci sono i figli che non sono “separabili” dal destino del patto di coppia e per quanto un figlio possa “differenziarsi” rispetto ai singoli genitori, non può farlo dal legame di coppia e tenterà di intervenire in vari modi: rifuggendolo; riparandolo; alleandosi con un membro della coppia, generalmente quello percepito come il più fragile; riproducendolo nel proprio stile relazionale futuro.

È importante, nel lavoro da fare, la salvaguardia del legame tra le generazioni che è il fulcro della relazione familiare. I legami non si eliminano ma si trasformano, vengono ad assumere altre forme e significati perché la loro dimensione emotiva-affettiva è essere “eterni” e su di questo va calibrato l’intervento.

Non c’è dunque la fine-sparizione, ma piuttosto la fine-passaggio, perché non è possibile uscire dal legame annullandolo, anche se questo è ciò che molti disperatamente desiderano e nei casi più gravi agiscono, è invece possibile separarsene nel senso di riconoscerlo per quello che è stato, dare spessore storico alle relazioni vitali, offrire un senso di aver qualcosa dato e qualcosa ricevuto, oppure constatare dolorosamente che ciò non è stato possibile per più cause e non per malvagità di uno solo, e soprattutto poter riproporre il valore e la speranza nel legame.

Il legame è qui pensato nella sua complessità, non solo in termini di vincolo-obbligo ma anche come luogo di comunione, della lealtà, del proprio romanzo familiare, della fede nel rapporto che teorizza la coppia come sintesi, dove si incontrano e si incastrano bisogni-paure-aspettative per la maggior parte inconsapevoli.

Da questi presupposti è nata la collaborazione con due professionisti, Sarah Verdini, avvocato, ed Emiliano Luchetti, mediatore e psicoterapeuta familiare, inizialmente come richiesta in ambito giudiziale dove era necessaria l’analisi e la valutazione delle diverse dinamiche tra i coniugi in fase di separazione conflittuale con le implicazioni sia nell’ambito della sofferenza personale sia nell’ambito della genitorialità: tale sofferenza era direttamente correlata all’inasprirsi della conflittualità nei confronti dell`altro coniuge e ciò con grave pregiudizio dei figli, che erano diventati vittime innocenti del dramma della disgregazione familiare.

Abbiamo potuto riscontrare che poter creare uno spazio di lavoro condiviso tra avvocato e psicoterapeuta può concretamente portare ad una risoluzione consensuale del rapporto coniugale, a tutto vantaggio del “sistema familiare” garantendo a ciascun membro di essere accolto nella propria sofferenza e di poter essere “visto” rispetto alle proprie richieste. Le richieste, oltre ad essere percepite come una sorta di “risarcimento” correlato al dolore, diventano anche ponte per la tenuta della collaborazione degli ex-coniugi nella gestione e nella educazione dei figli. Quanto detto è il perno centrale per ridurre la triangolazione del minore che avviene inevitabilmente in ogni situazione di conflitto coniugale.

È importante valutare, attraverso il lavoro dello psicologo, se chi intraprende il percorso giudiziale abbia come spinta motivazionale “il bisogno di vendicarsi” del dolore subìto oppure presenti una dinamica intrapsichica/caratteriale che determini la conflittualità ed influenzi necessariamente il percorso alla separazione. Tale valutazione può permettere di ipotizzare quale sia l’elemento che incida maggiormente oppure osservarne la compresenza con altri aspetti che andranno ad essere riscontrati, così da offrire un valore aggiunto ed orientare il lavoro legale, il quale è imprescindibile dalle dinamiche personali e relazionali.

Indispensabile, ai fini del buon esito della mediazione, è la concreta volontà delle parti ad intraprendere un percorso che permetterà di poter vedere e riconoscere le vere motivazioni ad una scarsa disponibilità nei confronti dell’ex partner al fine di poterle analizzare e lavorare favorendo così un dialogo proficuo tra le parti. L’elemento centrale è la possibilità di essere assistiti da un unico consulente “super partes” che sia garante e neutrale degli interessi di entrambe le parti e che abbia come unico scopo quello di favorire il raggiungimento degli obiettivi che la stessa coppia decide di porsi. Tale lavoro, complesso e specializzato, è la condizione per costruire un nuovo assetto familiare funzionale, sostenibile e collaborativo garantendo le funzioni genitoriali e preservando la relazione genitori-figli.

Questa riflessione è nata dal lavoro concreto con le famiglie che affrontano la separazione e la collaborazione interdisciplinare si è resa necessaria proprio per garantire un terreno neutrale su cui costruire le basi del nuovo accordo lavorando congiuntamente su due piani: quello psicologico e quello legale. Negli Stati Uniti e in Inghilterra è già` ampiamente affermato l’uso del diritto “collaborativo” con evidenti vantaggi per tutte le parti coinvolte, sia per la famiglia sia per i professionisti, e auspichiamo che anche in Italia possa prendere sempre più piede questa forma di gestione e di risoluzione alternativa delle dinamiche conflittuali familiari. (Laura Boccanera)

24 maggio 2019