Prostituzione e quartieri “a luci rosse”: «Scelta fallimentare»

Giovanni Ramonda (Giovanni XXIII): «Bisogna scoraggiare la domanda, non regolamentarla». De Palo: «La dignità di una persona non vale il decoro di un quartiere»

Giovanni Ramonda (Giovanni XXIII): «Bisogna scoraggiare la domanda, non regolamentarla». De Palo: «La dignità di una persona non vale il decoro di un quartiere»

«Proteggere le famiglie». Per il sindaco di Roma Capitale Ignazio Marino è la necessità che sta dietro al progetto di “zonizzazione” della prostituzione partorito dal presidente del municipio IX Andrea Santoro, che ne ha annunciato la realizzazione entro aprile. L’obiettivo: individuare aree precise nelle quali la prostituzione possa essere esercitata, “liberando” tutte le altre, nelle quali saranno previste multe fino a 500 euro ai clienti che saranno trovati in compagnia delle prostitute. Costo stimato: circa 5mila euro al mese, da spendere in gran parte per unità di strada e operatori sociali che dovrebbero monitorare anche eventuali casi di sfruttamento. Il “sì” di Marino, ha spiegato sabato 7 febbraio ai microfoni di Rainews24, proprio alla vigilia della prima Giornata internazionale di preghiera e riflessione contro la tratta di persone celebrata nelle diocesi e nelle parrocchie del mondo domenica 8 febbraio, arriva dalla sua «esperienza personale di primo cittadino, dalle mamme che chiedono aiuto» per tutelare i loro figli.

Dall’esperienza diretta arriva, allo stesso modo, il “no” chiaro e deciso di Giovanni Ramonda, responsabile generale della Comunità Papa Giovanni XXIII, che, intervistato dall’Agenzia Sir, condanna senza mezzi termini la scelta di un quartiere a luci rosse, definendola «fallimentare». Lo dimostra l’esperienza di Amsterdam, ricorda, dove il sindaco stesso «nel 2003 ha dovuto riconoscere che nei quartieri olandesi a luci rosse il racket la fa da padrone». Cita le parole del fondatore della Comunità don Oreste Benzi per sottolineare che «ci vuole tolleranza zero, bisogna scoraggiare la domanda e non regolamentarla». La proposta romana, invece, crea un «danno irreversibile», prima di tutto sulle vittime: le donne. «Quelle che accogliamo ogni giorno – spiega Ramonda – hanno traumi psicologici che dureranno per tutta la vita». E poi sulla cultura, poiché «ingenera il concetto che la donna è un oggetto e la si può denigrare». Per il responsabile della Comunità Papa Giovanni XXIII si tratta insomma di «un messaggio negativo forte»: una «sfida da controbattere, proprio perché siamo a fianco di queste donne. Non possiamo essere conniventi dell’ingiustizia». Piuttosto, il suggerimento è a trovare altre strade: creare «una zona virtuale in cui segnalare a tutti le targhe dei clienti», o fare «come in Svezia, dove le multe ai clienti vengono recapitate per posta alle famiglie». Lo stigma sociale, rileva, «può servire alla prevenzione».

Sulla stessa lunghezza d’onda il consigliere d’opposizione Gianluigi De Paolo, della lista civica Cittadini X Roma oltre che presidente dell’associazione “OL3”, che informa sulla raccolta di firme iniziata nel mese di dicembre fuori dalle scuole e dalle parrocchie «per far riflettere sul fatto che la dignità di una persona non vale il decoro di un quartiere». In particolare, osserva, «stride il fatto che sia stata annunciata la notizia che nel quartiere romano dell’Eur ci saranno delle strade a luci rosse proprio alla vigilia della prima Giornata che il Papa tanto amato ha voluto contro la tratta delle persone». E per di più, continua, con alcune «donne che spingono verso questa soluzione: l’assessore alle Politiche sociali Francesca Danese e l’assessore alle Pari opportunità Alessandra Cattoi». Ancora, l’ultima obiezione è da marito e padre di 4 figli, di cui 2 femmine – ancora, un’esperienza diretta -: «Come posso spiegare a mia moglie e alle mie due figlie che il Comune di Roma dice che una persona può vendere il suo corpo, se vuole guadagnare perché sta in difficoltà economica, e ci sono degli spazi dove è possibile farlo? Dov’è il concetto di persona umana? Che tipo di persona immaginiamo quando facciamo questo tipo di ragionamenti?».

Invita a un intervento in chiave preventiva, «con misure sociali e sul versante dell’istruzione», anche la presidente della Acli romane Lidia Borzì, che a proposito del progetto dell’Eur parla di «pessima notizia», invocando invece un’«alleanza stretta fra istituzioni, Comune, forze sociali, comitati di quartiere, forze dell’ordine». Davanti all’oggettiva situazione di degrado dei quartieri nei quali la prostituzione ha attecchito e alla «disperazione» dei cittadini, «la risposta che si vorrebbe proporre creando i ghetti della prostituzione – continua Borzì – non risolve nulla e tanto meno va incontro a quelle giovani donne rese schiave con la violenza e la sopraffazione». Oltretutto, si tratta di un tema che non è di competenza del Comune, osserva: «Non si possono riscrivere le leggi dal livello comunale. A Roma, fra l’altro, ci sono mille altre emergenze che richiedono uguale impegno». In sintesi, «non si può dare una patente di legalità alla prostituzione. Dietro queste ragazze per strada c’è la peggiore malavita, violenta, che sfrutta le persone e che non ha scrupoli. Per salvarle, auspichiamo ben altre risposte».

9 febbraio 2015