«Prof, vi chiudono Facebook…». Gli adolescenti e i social

Le differenze nell’uso dei vari canali in rete da parte dei giovani e la domanda su come ci si pone verso gli altri attraverso l’uso di un determinato dispositivo

«Prof, ha visto che vi chiudono Facebook?». Così m’ha accolto questa mattina l’alunno del quinto sull’uscio della classe, mentre entravo. «Eh, ma guarda che poi ti chiudono anche Instagram, che se non lo sai – te lo dico io – è la stessa parrocchia», gli rispondo. «Ma tanto comincia a essere vecchio pure quello. I primini usano solo Tik Tok, ma io proprio non mi ci trovo», chiosa a quel punto un’altra alunna, che si era affacciata nella discussione interessante per lei, ma anche per me, tanto che alla fine concludo: «Beh, la questione della minaccia di Zuk di chiudere all’Europa i suoi social, se cambiasse la politica dei dati, non sarebbe affare da poco, è una faccenda seria per tanti aspetti».

A pensarci ora, al di là dell’ultima e didascalica osservazione fatta da me, mi paiono interessanti i pronomi: vi chiudono Facebook, ti chiudono Instagram, e certo, rimandano a una evidenza vecchia come il cucco, ovvero che Facebook è un ospizio per ultraquarantenni mentre Instagram è per quelli più giovani. Che loro stiano tutti e del tutto di là, mentre la maggior parte di noi stia principalmente di qua, è un dato di fatto, così come continuo a considerare con difficoltà, per quanto mi riguarda, l’ipotesi di migrare anche io del tutto su Instagram, che uso ma molto più sporadicamente, mentre continuo ad apprezzare le possibilità che Facebook mi pare offra.

La risposta che mi do è che sebbene Facebook, a suo modo e con grande sforzo da parte di chi lo usa, possa rimanere un luogo digitale di scambio nel quale l’ipertrofismo dell’io non sia scontato e inevitabile, nella misura in cui è possibile condividere anche contenuti e link altri sui quali discutere, partecipare a gruppi spesso molto stimolanti di discussione, di contro Instagram (o Tik Tok) restano social che si basano unicamente sull’esposizione del proprio sé (in foto/video/storie), sulla quale il livello dell’interazione è ridotto sostanzialmente a dinamiche confermative (non a caso si è solo follower di qualcuno o viceversa). Con tutti i distinguo del caso, insomma, mi pare che un social come Facebook consenta ancora quel guardare fuori di sé, per conoscere e imparare – e io molto ho conosciuto e imparato proprio attraverso Facebook – rispetto ad altri basati più spiccatamente sull’esposizione del sé. Eppure, se c’è un social moribondo, quello parrebbe essere proprio Facebook.

Verrebbe da aggiungere infinite considerazioni, a partire dalla constatazione su come un certo retaggio di un modo predigitale di conoscere, travasato sui social, sia assente o riformulato ex novo negli adolescenti; dalla domanda successiva sul censimento reale di quali siano allora i canali dove gli adolescenti veicolino la necessità di conoscere, al di là della confermazione del sé (e in questo senso ovviamente dovremmo parlare anche di YouTube e youtuber); in definitiva su come l’evoluzione futura dei modelli social, del loro fare emergere più o meno il proprio io o la possibilità dell’incontro e dello scambio con l’altro, abbia a che fare non solo con il modo in cui perdiamo tempo su un dispositivo ma piuttosto su come noi siamo nel nostro tempo attraverso un dispositivo.

9 febbraio 2022